Omelia nella celebrazione per la chiusura della Porta Santa
Oria, 13 novembre 2016 - Basilica Cattedrale
Amatissimi fratelli e sorelle,
mentre ci accingiamo a chiudere la Porta santa, che ci ha permesso di sperimentare per un anno la misericordia di Dio per la nostra vita, la liturgia della Parola sembra voglia invitarci ad un atteggiamento di timore, quasi di paura, poiché annuncia fatti che sono paurosi: violenze, persecuzioni, terremoti, distruzioni, tradimenti.
Sembrerebbe, quasi, che ci sia un contrasto stridente tra ciò che abbiamo vissuto e meditato per un anno, la misericordiosa benevolenza di Dio per l’umanità peccatrice, e ciò che ci sta dinanzi. In realtà, amici carissimi, questo linguaggio apocalittico, che la Chiesa fa suo al termine di ogni anno liturgico, per invitarci a considerare le cose ultime, altro non vuole fare che spingerci verso una piena e definitiva fiducia in Dio.
Andiamo con ordine. Alla domanda fatta a Gesù circa il “quando” avverranno questi fatti catastrofici che, in prima istanza, sembra riguardino la sopravvivenza del tempio di Gerusalemme, orgoglio e vanto del popolo di Israele al tempo di Gesù, il Maestro invita a non riporre la propria fiducia in niente, nemmeno nel grandioso tempio di Salomone, poiché anch’esso è legato al tempo e perciò cesserà la sua funzione, anche se è stato il luogo in cui generazioni di credenti hanno potuto rendere lode al Signore del cielo e della terra.
Gesù ci invita, così, a costruire e confidare in un altro tempio, che è la comunione con Lui e con il Padre: questo è il tempio che non sarà mai distrutto perché non è fatto dalle mani dell’uomo e di pietre. Comprendiamo che questa parola di Gesù è la logica continuazione dell’annuncio ascoltato nell’anno della misericordia: Dio ci salva dai nostri peccati per unirci a Sé, per farci vivere nella comunione con Lui. Il tempio che non verrà distrutto è la nostra coscienza, nella quale parla Dio e si comunica a noi e ci sollecita a vivere in comunione con Lui. Per questo dobbiamo passare dalla contemplazione delle belle pietre che adornano il tempio di pietra alla contemplazione della voce di Dio che in continuazione risuona nella nostra coscienza e ci dice: “Ti amo di amore eterno”.
Ma la storia, fatta di violenza, sofferenza, paura, ci impone ancora la domanda: “Quando avverrà tutto questo?”. E Gesù anche a noi non risponde sul “quando”, poiché questo appartiene solo alla conoscenza del Padre. Piuttosto ci invita a riflettere sul “come” affrontare questi tempi e tutto il loro carico di paura che portano con sé.
Gesù ci offre quattro indicazioni per vivere in questi tempi: non lasciarsi ingannare, non farsi terrorizzare, dare testimonianza nella persecuzione e perseverare.
Non lasciarsi ingannare: quanto facilmente cadiamo in questa trappola. Pensiamo all’illusione delle parole che ci vengono propinate. È facile cedere ad un linguaggio fluente che riesce a far vedere realtà inesistenti; è facile leggere fatti e situazioni in un modo diverso da come realmente sono se non sappiamo discernere la parola dell’inganno. Gesù ci invita ad operare un continuo discernimento di ciò che ascoltiamo e di ciò che vediamo. E il discernimento si fa confrontando parole e fatti con i valori che non passano, confrontando tutto con la Croce di Gesù. Ciò che è fuori dalla Croce è certamente inganno! Lo ripeto: ciò che è fuori dalla Croce di Gesù è certamente inganno!
Non farsi terrorizzare: viviamo in un tempo che appare dominato dal terrorismo, tutti abbiamo paura di tutto e, anche se non lo vogliamo ammettere, la nostra vita è ingabbiata dalla paura e dal terrore. Chiediamoci: perché abbiamo terrore? Perché temiamo di perdere qualcosa a cui teniamo molto, come per esempio la vita. L’invito di Gesù a non temere è l’invito ad essere liberi da tutto e da tutti, essere in qualche modo poveri, tenere come nostra unica ricchezza l’amore di Dio per noi. Quando riusciremo ad essere così, non avremo terrore “perché niente potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù”.
Dare testimonianza nella persecuzione. Sabato della scorsa settimana ho avuto la gioia di partecipare alla concelebrazione di beatificazione dei primi martiri albanesi del comunismo a Scutari. Molti di loro sono stati invitati dagli aguzzini a compiere atti di disprezzo verso il Crocifisso e le immagini sacre. Dicevano loro: “Calpesta il Crocifisso e sarai salvo. Sputagli addosso e ti lasciamo andare”. Ma la risposta è stata irremovibile: Mai! Questa è testimonianza nella persecuzione. E non parliamo di martiri di duemila anni fa, ma di martiri dei nostri giorni: gli ultimi sono stati martirizzati nel 1974!
Forse non siamo chiamati a questo martirio, a questo tipo di testimonianza. Ma siamo chiamati a dare testimonianza nella difesa della vita, dal suo nascere al suo naturale tramonto, nella difesa della famiglia, nella ricerca della giustizia e della lealtà, nel combattere la corruzione, nella ricerca del bene comune, nell’aiuto ai bisognosi. Credetemi: questo non è un martirio meno cruento di quello del sangue!
E infine, siate perseveranti. Mi piace pensare alla virtù della perseveranza come all’eco che riverbera tra le montagne e porta il suono lontano. La nostra perseveranza porta il bene lontano, per questo ci permette di salvare l’anima. La perseveranza è l’antidoto all’ideologia del consumismo, il quale vuole tutto e subito. La perseveranza nel bene richiede la pazienza e sa attendere, ha un passo cadenzato e sicuro, non si accontenta della meta intermedia ma tende a quella finale perché sa che solo lì c’è la gioia piena.
Proprio questa virtù desidero consegnarvi al termine dell’anno della misericordia: siate perseveranti nella misericordia e salverete le vostre anime!
Se abbiamo accolto la misericordia di Dio per noi, sappiate che questa non finisce con la chiusura dell’anno giubilare; così come non finisce la misericordia che dobbiamo offrire agli altri, a tutti gli altri, senza esclusione alcuna.
Abbiamo aperto l’anno santo sentendo Dio che ci diceva “Ti voglio bene” e ci siamo impegnati a dire ad ogni altra persona “Ti voglio bene” e a fare il suo bene.
Perseveriamo in questo cammino.
Prima di chiudere la Porta santa, desidero rivolgere un caloroso e sentito ringraziamento a tutti coloro che, a vario titolo e in modo diverso, hanno collaborato perché tutti potessimo sperimentare la misericordia.
Ringrazio i Sacerdoti che con il loro ministero, soprattutto quello della Riconciliazione, hanno permesso a Dio di mostrare il Suo volto di Padre.
Ringrazio i collaboratori delle Parrocchie per il servizio agli ammalati: sono un dono prezioso per ogni comunità.
Ringrazio tutte le Autorità, civili e militari: la loro collaborazione è stata quanto mai preziosa ed efficace.
Ringrazio tutti Voi che avete risposto con entusiasmo e gioia, soprattutto nelle settimane della Misericordia: ho sperimentato dal vivo il trionfo della Grazia.
Ringrazio coloro che nel nascondimento hanno offerto preghiera e sofferenza: sono il fertilizzante della missione della Chiesa.
A tutti dico “grazie”, e a tutti dico: Dio vi vuole bene e anche il Vescovo vi vuole bene. Siate misericordiosi per sempre!
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