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Omelia del vescovo Vincenzo nella Messa Crismale 2024

Oria, 28 marzo 2024 - Chiesa Cattedrale

Nel mettere un po’ di ordine nei miei appunti personali di quando ero seminarista, mi sono imbattuto in un pensiero di San Giovanni Paolo II circa la grandezza della vocazione sacerdotale e del ministero che è posto nelle nostre mani.

Parlando a Sacerdoti assaliti da dubbi sul valore della propria missione, il Santo Papa, avendo probabilmente dinanzi agli occhi quelle nazioni che avevano fatto dell’ateismo di stato un punto di forza, li incoraggia con un esempio estremamente eloquente: “Pensate a quei luoghi, dove gli uomini attendono con ansia un Sacerdote, e dove da molti anni, sentendo la sua mancanza, non cessano di auspicare la sua presenza. E avviene, talvolta, che si riuniscono in un Santuario abbandonato, e mettono sull'altare la stola ancora conservata, e recitano tutte le preghiere della liturgia eucaristica; ed ecco, al momento che corrisponde alla transustanziazione, scende tra loro un profondo silenzio, alle volte forse interrotto da un pianto..., tanto ardentemente essi desiderano di udire le parole, che solo le labbra di un Sacerdote possono efficacemente pronunciare! Tanto vivamente desiderano la Comunione eucaristica, della quale solo in virtù del ministero sacerdotale possono diventare partecipi, come pure tanto ansiosamente attendono di sentire le parole divine del perdono: «Io ti assolvo dai tuoi peccati»! Tanto profondamente risentono l'assenza di un Sacerdote in mezzo a loro!... Questi luoghi non mancano nel mondo. Se, dunque, qualcuno di voi dubita circa il senso del suo sacerdozio, se pensa che esso sia «socialmente» infruttuoso oppure inutile, rifletta su questo!”.

Questo testo, che ho ritrovato e che tanto bene mi aveva fatto nel mio cammino di formazione sacerdotale, mi ha stimolato a pensare e a pregare per ciascuno di voi, indistintamente, diocesani e religiosi, a voi che, parafrasando la lettera agli Ebrei, “siete scelti fra gli uomini e per gli uomini e venite costituiti tali nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (cfr. Eb 5, 1).

Nelle parole del Papa santo, nell’esempio che Egli riporta e che credo sia molto attuale anche ai nostri giorni, è manifestato un grande desiderio da parte dei fedeli che, non avendo più la possibilità di partecipare ai Sacramenti perché veniva loro vietato, nella solitudine con la preghiera si protendono verso il Signore e vivono la reale comunione con la Chiesa. In questo desiderio, talmente profondo e radicato nella coscienza cristiana di questi eroi della fede, c’è la testimonianza della Chiesa viva nonostante l’oppressione, della vicinanza del Signore che mai abbandona i suoi figli e del significato del Sacerdozio, della sua grandezza intrinseca.

Pensiamoci un momento, fratelli miei: quale uomo, senza bestemmiare, potrebbe usare l’”io” di Cristo come se fosse il suo proprio “io”, potrebbe da sé dire: “Questo è il mio corpo. Questo è il mio Sangue”, come anche “Io ti assolvo dai tuoi peccati”? Parole che sono necessarie per la vita del mondo, perché dove non vengono pronunciate la stessa vita diventa insipida, svuotata di valore, magari arricchita di oggetti, di tecnologia, di conquiste apparentemente sociali, ma priva di umanità redenta.

E la possibilità di pronunciare queste parole, non come ricordo di un evento passato, né come desiderio di ciò che non si può più avere, ma come attualizzazione della volontà salvifica di Dio per ogni uomo in questo tempo storico, è stata donata a noi sacerdoti. A noi, che possiamo agire in persona Christi, cioè possiamo usare l’”io” di Cristo non solo non bestemmiando ma anche e, soprattutto, rendendo Lui presente per i nostri fedeli e per noi!

Capite quale grande amore ci ha dato il Padre, chiamandoci ad essere, non a fare, ad essere sacerdoti del Nuovo Testamento? Sacerdoti del Suo Figlio Gesù Cristo? Lodiamo il Padre e il Figlio nella potenza dello Spirito Santo e ringraziamolo per quest’opera che ha iniziato in noi, con noi e per noi. Per questo amore che tutti ci pervade e ci sostiene. Lode a Te, o Padre che nel tuo Santo Spirito mi hai chiamato ad essere sacerdote del Tuo Figlio Gesù!

Da queste parole, “Questo è il mio corpo. Questo è il mio Sangue. Io ti assolvo dai tuoi peccati”, possiamo desumere l’essenza dell’azione sacerdotale e il compito cui siamo chiamati. E queste parole rimangono efficaci anche quando la vita di colui che le pronuncia è indegna, perché sono le parole di Cristo, non le nostre! La nostra lingua, anzi, il nostro essere è Cristo quando le pronunciamo. E non siamo noi ad assolvere i peccati; non è il nostro corpo o il nostro sangue ad essere offerto e versato, ma quello di Gesù! Ma siamo noi a dire quelle parole! E si comprende bene quanto, per l’utilità che a noi deve ritornare e non per l’efficacia per i nostri fedeli, sia necessaria la corrispondenza della nostra vita alle parole che siamo chiamati a pronunciare.

Cari fratelli, perché questa corrispondenza sia reale e cresca ogni giorno di più, è necessario che, mentre parliamo con l’io di Cristo, noi compiamo un atto di fede in ciò che diciamo. Dobbiamo essere sacerdoti credenti. Questo è il cuore di tutto il nostro agire; se manca quest’atto di fede, più niente è vero nella nostra vita, tutto diventa routine, attività esterna a noi, da svolgere al più presto per pensare a ciò che ci interessa di più.

Oltre al Padre che ci ha chiamati, anche i nostri fedeli attendono che noi siamo sacerdoti profondamente credenti, che pregano, che vivono secondo il programma delle beatitudini.

Già, il programma delle beatitudini! Mi chiedo e vi chiedo, anzi oggi è Gesù che, mentre rinnova la sua fiducia in noi, ci chiede: vi sforzate di vivere secondo le beatitudini? Oppure vi siete assuefatti agli standard del mondo, tanto da ritenerli normali e utili per la vita vostra e dei vostri fedeli?

Amati confratelli, facciamo un atto di umiltà e di verità oggi, in questo giorno particolare, in questo giovedì santo, che sempre dovrebbe essere presente nella nostra coscienza sacerdotale. Chiediamoci se abbiamo scelto uno stile di vita alternativa, improntata sulle beatitudini, che rema contro le correnti e le ideologie del mondo, che rende ragione del dono sacerdotale che il Padre ci ha fatto! Chiediamoci quanto crediamo in ciò che la prassi liturgica ci chiede di pronunciare. Quanto ci immedesimiamo in quelle sante parole. Quanto siamo consapevoli che le persone del mondo, specialmente coloro che meno frequentano i nostri ambienti, attendono qualcuno che sia loro di esempio nel credere, qualcuno che vive della certezza che Dio ama ogni uomo fino alla sua morte, qualcuno che è sé stesso ed è fedele a ciò che è! Dobbiamo avere il coraggio di essere integralmente sacerdoti e di essere fedeli a questa alternativa che rappresentiamo, se viviamo secondo le beatitudini! Dobbiamo avere il coraggio della testimonianza a 360°: nel modo di parlare, nel modo di porci, nel modo di vestire, nel modo di mangiare, nel modo di celebrare. Ciò che siamo stati costituiti non può essere vissuto solo interiormente, deve essere mostrato, deve essere testimoniato perché chi non testimonia non infervora gli altri!

Carissimi confratelli, vi chiedo di riprendere in mano le biografie dei grandi Santi. Ogni Santo è diverso dagli altri, è figlio del suo tempo ed è stato testimone nel suo tempo, rendendo il vangelo che ha vissuto come incarnato e specifico per quel tempo. Ognuno è stato un vangelo aggiornato al proprio tempo perché ha dato una risposta originale al vangelo, non senza lotte e sacrifici. E ciascuno di noi è chiamato ad essere un vangelo incarnato nel nostro tempo! Un vangelo incarnato per essere artista della pastorale, come diceva San Giovanni Paolo II.

Desidero proporvi un pensiero di San Francesco d’Assisi, tratto dal suo testamento, che manifesta cosa il Serafico Padre pensasse del sacerdozio e dei sacerdoti, egli che non ha voluto essere sacerdote, e quale grande amore ha sempre nutrito verso di loro:

“Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri (San Francesco, Testamento, FF 112-113).

Ecco, i Santi questo pensano del sacerdote, questo pensano di noi!

Noi che siamo chiamati ad usare l’io di Gesù Cristo, dobbiamo crederci, dobbiamo pregare e dobbiamo testimoniare. Stiamo attenti a non cadere nella facile tentazione di una vita sacerdotale dicotomica: da una parte la nostra vita e dall’altra la vita sacerdotale! La nostra è un’unica vita: quella sacerdotale! E come tali sempre dobbiamo vivere perché il nostro grande compito è quello di essere testimoni dell’amore di Gesù!

Ovviamente vale anche per noi sacerdoti quell’antico aforisma riguardante la Chiesa: “Ecclesia semper reformanda”. Per essere vangelo incarnato nel nostro tempo dobbiamo essere sempre in stato di conversione.

È facile aderire concettualmente all’idea della conversione, ma quando si tratta di ammettere e dire che il mio agire ha bisogno di perdono, allora diventiamo molto sensibili, permalosi, addirittura allergici. Ci viene difficile riconoscere che un qualcosa di normale, che è divenuto una nostra abitudine, non è giusto e dovrebbe essere cambiato. È più facile pensare che sia sbagliata la norma anziché ammettere di essere nell’errore. Quando non siamo più una cosa sola con la nostra essenza sacerdotale e, quindi, sbagliamo, allora dobbiamo avere il coraggio di guardarci dentro e scoprire la nostra misconosciuta superbia. Perché rifiutare il perdono, non ammettendo la colpa, porta ad essere velenoso, diviso in sé stesso, separato dal mondo e da Dio, triste e aggressivo. E questo perché in noi, in quelle occasioni, opera ciò che non è stato perdonato.

Al contrario: dopo il nostro peccato, se abbiamo la semplicità di cuore di ammetterlo e ci facciamo perdonare, allora troviamo la gioia, la leggerezza e torniamo ad essere una sola cosa con la nostra essenza sacerdotale. Respingere il perdono è respingere Gesù Cristo che è il perdono fatto carne! A questo proposito rileggiamo più spesso il Vangelo che proclameremo questa sera nella Messa In Coena Domini (Gv 13), quando Pietro non vuole farsi lavare i piedi da Gesù. Noi siamo un po’ come Pietro, ma per stare con Gesù bisogna farsi lavare i piedi, bisogna chiedere perdono e lasciarsi perdonare!

Tra poco vivremo il suggestivo rito degli Olii santi, del Crisma, da cui questa S. Messa prende il nome. Chiederemo allo Spirito Santo di benedirli e consacrarli e, una volta ricevuti, diventeranno lo strumento attraverso il quale lo Spirito di Dio soffierà in continuazione, ogni volta che li useremo, sulla nostra Chiesa, radunandola sempre di nuovo in quell’unità che proprio questa celebrazione esprime. Si, l’uso degli Olii santi, specialmente del Crisma, nelle celebrazioni nei vari luoghi della nostra Diocesi e in tempi differenti, riporta all’unità della Chiesa che oggi è misticamente significata e realizzata. E mentre doneremo lo Spirito ai nostri fedeli, anche noi saremo pervasi dalla Sua ineffabile presenza e forza, diventeremo sempre di più sacerdoti nello Spirito Santo. E riceveremo nuovamente e sempre con più forza la fede nel dono del sacerdozio che ci è stato fatto, la volontà di vivere per quello che siamo stati costituiti, la gioia di sentirsi uno!

Un’ultima parola desidero rivolgervi: grazie! Grazie per la passione che ci mettete nel vivere il dono del sacerdozio e per il servizio amorevole che svolgete a favore dei nostri fedeli.

Desidero ricordare i sacerdoti che svolgono il proprio ministero fuori dalla nostra Diocesi: don Gianni Caliandro, Rettore del Pontificio Seminario Regionale di Molfetta, don Emanuele Balestra, educatore presso la Comunità Agape di Roma e don Crocifisso Tanzarella, canonico della Patriarcale Basilica Vaticana. Grazie per il vostro servizio alla Chiesa universale: siete il segno eloquente di una Chiesa diocesana viva e vitale.

E adesso il ricordo degli anniversari: don Federico Vincenti festeggia in quest’anno i primi 10 anni di ordinazione sacerdotale; don Rocco Erculeo, don Alessandro Mayer e don Andrea Santoro festeggiano il giubileo sacerdotale del 25° anniversario; Don Alfonso Bentivoglio in quest’anno ha già festeggiato il giubileo sacerdotale del 50° anniversario, don Pietro Chirico festeggia il 75° di ordinazione ed è diventato il decano del Presbiterio.

A Voi, miei cari Religiosi, Religiose e Laici, mentre vi invito a meditare sulla necessità della presenza del sacerdote per la vostra vita cristiana, vi chiedo di invocare sempre e con abbondanza il dono dello Spirito sui vostri Sacerdoti e sul vostro Vescovo perché cresca la nostra fede e la nostra capacità di donarci a voi nel santo ministero. Amen.

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