Omelia nella Messa Crismale 2017
Oria, 13 aprile 2017 - Basilica Cattedrale
"Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti " (Is 61, 6a).
Cari confratelli nel sacerdozio, queste parole del profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato, ci invitano ad un’attenta riflessione su ciò che siamo stati costituiti al momento della nostra ordinazione sacerdotale: siamo sacerdoti e ministri.
Con la grazia di Dio, ci fermeremo, in questa solenne liturgia della Messa crismale, a considerare la nostra identità sacerdotale, soprattutto nella prospettiva della comunione: siamo stati costituiti sacerdoti e ministri in un popolo sacerdotale e ministeriale, e siamo stati aggregati ad un Presbiterio. Sicché la nostra missione non può essere compresa prima e vissuta poi, se non in una prospettiva comunionale; la nostra è una missione nella comunione e per la comunione.
E voi, carissimi religiosi e religiose, sorelle e fratelli laici, meditate con noi il mistero con il quale Dio ci ha avvolto; un mistero donato a noi ma per la vostra utilità, un mistero che è ricchezza di tutta la Chiesa, sebbene solo alcuni siano chiamati a viverlo e ad esercitarlo. E mentre meditate e approfondite questo mistero, sosteneteci con la preghiera e con l'affetto e dateci testimonianza della vita di comunione che anche voi siete chiamati a vivere, ciascuno secondo il proprio stato, perché anche noi veniamo sollecitati dalla vostra testimonianza e dal vostro appello a vivere nel grado più alto la comunione presbiterale.
San Giovanni Paolo II, nella Pastores dabo vobis (n. 17), così si esprime: “Il ministero ordinato, in forza della sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il presbitero è unito con Cristo mediante l'inserimento sacramentale nell'ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione gerarchica con il proprio Vescovo. Il ministero ordinato ha una radicale «forma comunitaria» e può essere assolto solo come «un'opera collettiva»”.
Parole molto forti, intense che credo ci invitino e ci stimolino a convertirci nell’esercizio del nostro sacerdozio, che è a servizio prima di tutto della comunione e poi della comunità.
In Christifideles Laici (n. 8), la Chiesa, al cui servizio noi siamo stati chiamati e inseriti, è presentata come mistero, comunione e missione: “La Chiesa … E' mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3, 5), chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione)”.
Spesso le esigenze dei nostri fedeli ci inducono a considerare il nostro ministero nella Chiesa come un servizio sociale, inducendoci involontariamente a perdere la consapevolezza che la Chiesa è mistero. Se non ci fermassimo a riconsiderare la vera identità della Chiesa, che è mistero, che è comunione e che è missione, rischieremmo di vivere un presbiterato schizofrenico perché, costituiti con un’identità misterica, da cui scaturisce la missione, vivremmo una realtà altra, diversa.
È necessario riqualificare il nostro rapporto con Cristo, al Quale dobbiamo configurarci con impegno costante e quotidiano: dobbiamo ricercare la relazione intima con Gesù, dobbiamo desiderare di partecipare alla Sua Passione, dobbiamo vivere sulla nostra pelle la tragedia della lotta tra il bene e il male, dobbiamo sentire la solidarietà con i peccatori, dalla nostra vita non deve scomparire il sacrificio e dobbiamo ispirarci alla mistica della Croce, perché tutto questo è la dimensione misterica del nostro sacerdozio. Una dimensione misterica e comunionale. In questa direzione ci proietta ancora Giovanni Paolo II: “Segno e presupposto dell'autenticità e della fecondità di questa missione è l'unità degli apostoli con Gesù e, in Lui, tra di loro e col Padre, come testimonia la preghiera sacerdotale del Signore, sintesi della sua missione” (Pastores Dabo Vobis, n. 14).
E allora, meditando sulle parole del Papa Santo, chiediamoci da dove scaturisce questa “radicale forma comunitaria” di cui è dotato il nostro ministero sacerdotale.
È nella vita trinitaria che si rivela la comunione. È proprio la natura di Dio ad essere comunionale. Non si può pensare ad una natura diversa di Dio. “Dio è amore” (1Gv 4, 8) dice San Giovanni, e l’amore richiede una relazione di comunione. Tutta l’Economia della salvezza è opera comune delle tre Persone divine. Infatti, la Trinità, come ha una sola e medesima natura, così ha una sola e medesima operazione, anche se ogni Persona divina compie l’operazione comune secondo la sua personale proprietà. Dice il Concilio di Costantinopoli II: “Uno infatti è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il Signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose” [(anno 553), Anathematismi de tribus Capitulis, 1: DS 421].
La Ss.ma Trinità, dunque, è l’origine e il modello della vita comunitaria cristiana in generale, e a maggior titolo è l’origine e il modello e la forma del ministero presbiterale vissuto come opera collettiva.
D’altra parte, non dimentichiamo che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio ed ogni sua opera deve essere a Dio ispirata e di Dio rivelazione. Così il sacerdote è chiamato, nell’intimo della propria vocazione, ad ispirarsi all’azione comune della Ss.ma Trinità, rendendosi anche in questo modo rivelatore della comunione divina. Il luogo nativo nel quale ogni sacerdote, diocesano e religioso, è chiamato a vivere l’azione comune vissuta in comunione è il Presbiterio, al quale è stato aggregato dal giorno dell’ordinazione sacerdotale o nel quale entra a motivo del proprio incarico pastorale. Ci conforta e ci sprona la preghiera sacerdotale di Gesù: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 20-23).
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