Omelia nell'Ordinazione Diaconale di Ivan Cavaliere, Leonardo Dadamo e Giuseppe Prisciano
Oria, 18 dicembre 2014 - Basilica Cattedrale
«Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore” (Mt 1, 24).
Il brano del Vangelo di Matteo di questa liturgia della feria d’Avvento si conclude con queste parole che pongono in risalto come Giuseppe, lo Sposo della Vergine Maria, sia stato sin da subito obbediente alla volontà del Padre, manifestatasi attraverso la parola dell’Angelo. Giuseppe è definito “giusto” proprio perché è obbediente: la giustizia, infatti, secondo la Scrittura, consiste nell’immedesimarsi nella Parola che Dio comunica per compierla totalmente e senza riserve.
Detto in questi termini sembrerebbe molto semplice essere giusto. In realtà il compimento della volontà di Dio espressa dalla Sua Parola, deve compiere nella persona chiamata un lungo lavorìo, che comporta anche repentini cambiamenti di rotta della propria vita, comporta rinunce non programmate, comporta accettazione anche della sofferenza e della derisione. È l’esperienza di San Giuseppe, questo giovane israelita che, nel pieno ascolto della Legge di Dio, intendeva formarsi una famiglia, magari avere dei figli con la sua giovane promessa sposa, avere una casa e incamminarsi con serenità verso la vecchiaia. Questo sogno viene infranto dalla notizia della maternità di Maria. Cosa fare? La legge era chiara: bisognava denunciare Maria per il suo evidente tradimento e farla lapidare per estirpare il male dal popolo di Israele. Ma la fede di Giuseppe lo porta ad andare oltre la legge. Giuseppe realizza ciò che enuncerà San Paolo: “Sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno” (Gal 2, 16). La fede di Giuseppe lo porta a cercare ciò che Dio vuole anche nei momenti più dolorosi ed inaccettabili della sua storia. E così prende Maria come sua sposa, si prende cura di lei e darà il nome al Bambino che nascerà.
Miei cari Amici, l’esperienza di San Giuseppe ci è stata riportata non solo per esaltare le virtù di questo grande uomo, ma anche, in questo nostro tempo di attesa prossima della celebrazione del mistero dell’Incarnazione, per rivedere in lui la nostra personale esperienza di vita di fede. Così San Giuseppe ci interroga: dove ti porta la tua fede? Che scelte ti chiede di fare? E che disponibilità hai di accettare certe richieste che, sebbene vengano da Dio, sembrano assurde? Dalla risposta che sappiamo dare a queste domande dipende la qualità della nostra fede, dipende la nostra adesione a Dio e al Suo piano di salvezza; dipende, in ultima analisi, la nostra redenzione.
Anche a Voi, carissimi Ordinandi, la storia di San Giuseppe pone delle domande precise, ed è attraverso la sua storia che oggi Dio, e la Chiesa in nome di Dio, vi chiede una risposta chiara e definitiva.
Miei cari Ordinandi, nel cammino personale di ciascuno di voi, avete scoperto la fede, avete intuito che fidarsi di Dio è bello ed anche entusiasmante. È un’esperienza che ti coinvolge e ti fa sentire l’ebbrezza della pienezza della gioia. Ed in questa fede avete intuito che Dio vi chiama ad un servizio più pieno e impegnativo nella Chiesa, vi chiama a consacrarvi totalmente al Suo Regno. La vostra risposta, anche in qualche circostanza altalenante, è stata generosa e disponibile. Ed ora è la Chiesa che, ravvisando in voi i chiari segni della vocazione, vi invita ad assumervi l’impegno del servizio pieno per Dio e il Suo Regno. Miei cari, siate sempre consapevoli che non è una libera professione quella che state scegliendo, ma una libera risposta assai impegnativa ad una chiamata della Chiesa. E la vostra risposta non si esaurisce nella celebrazione odierna, ma impegna tutta la vita. Come per San Giuseppe non fu sufficiente svegliarsi dal sonno e prendere con sé la sua Sposa, ma dovette provvedere per tutta la vita alla Madre e al Figlio, così anche per voi il “si” che pronunciate oggi dovrà essere quotidianamente rinnovato, ed ogni giorno con maggiore entusiasmo, con maggiore impegno, con maggiore dedizione.
L’assunzione di una vita celibataria non è rinuncia alla paternità ma testimonianza dell’assoluto di Dio nella vostra vita: in questo modo sarete fecondi padri nello spirito ed aiuterete le persone a voi affidate ad imparare che Dio deve essere amato con tutte le forze e al di sopra di tutto.
Miei cari Ordinandi, dovete essere sempre pronti e disponibili a servire con gioia e disponibilità il Signore e i fratelli. Gesù ci ha detto che non possiamo servire a due padroni: pertanto, mettendo la vostra vita a servizio del Signore, rifiutate gli idoli dell’impurità e dell’avarizia, che rendono schiavo l’uomo.
L’abito del quale sarete rivestiti, la dalmatica, non è divisa di potere ma grembiule di servizio. Non vi succeda mai di trincerarvi dietro un abito per non sporcarvi le mani nel mondo: la vostra diaconia è per il mondo e nel mondo, non solo sul presbiterio e in sacrestia. Certamente non siete del mondo ma dovete essere sempre per il mondo.
Nella preghiera quotidiana, secondo il vostro nuovo stato, portate sempre i bisogni dei vostri fedeli: non solo quei bisogni per i quali vi chiederanno di pregare, ma anche, e direi soprattutto, quei bisogni sconosciuti anche agli stessi interessati ma chiari presso Dio. Implorate la santificazione del popolo e santificatevi per loro.
Ora le vostre mani sono state preparate a ricevere il libro del Vangelo; vi chiedo di compiere un’opera di intromissione: il libro che sarà posto nelle vostre mani mettetelo nella vostra mente e sul vostro cuore. Da oggi in poi pensate solo attraverso le categorie del Vangelo. Così sarete Vangelo incarnato e annuncio di gioia per il popolo.
L’esperienza di evangelizzazione di Filippo, raccontata nella seconda lettura (Atti 8, 26-40), ci riporta a questa necessità di interiorizzare la Parola da annunciare. Filippo potè evangelizzare l’eunuco perché lo Spirito lo aveva fatto correre appresso al carro e perché aveva in sé il pensiero di Cristo e la Sua presenza viva.
Così sia per voi: mai lenti e pigri, ma sempre zelanti e con dentro di voi la presenza del Cristo Risorto.
Il beato Paolo VI, nella Lettera Apostolica Ad pascendum, a proposito dei Diaconi sostiene: “Il diacono è definito come “l’orecchio, la bocca, il cuore e l’anima del vescovo". Il diacono sta a disposizione del vescovo, per servire a tutto il popolo di Dio ed aver cura dei malati e dei poveri; egli, perciò, esattamente e giustamente è chiamato "l’amico degli orfani, delle persone devote, delle vedove, fervente nello spirito, amante del bene"”.
Vi invito, con la forza del successore degli Apostoli, ad essere ciò che il Papa Paolo VI ci ha indicato. Vi invito ad essere l’orecchio del Vescovo per ascoltare i gemiti dei bisognosi; vi invito ad essere la bocca del Vescovo per annunciare la misericordia di Dio e la Sua consolazione; vi invito ad essere il cuore del Vescovo, impegnandovi ad amare tutti e ciascuno così come sono; vi invito ad essere l’anima del Vescovo, per cercare solo il bene comune ed il bene di ciascuno. Così sarete una benedizione per la nostra Chiesa di Oria.
Ci disponiamo ora ad invocare lo Spirito Creatore e ad accogliervi nell’Ordine Sacro del Diaconato, ricordandovi, infine, che la vostra vita sarà fortificata dallo Spirito Santo che guiderà sempre i vostri passi di messaggeri del vangelo e della gioia.
Ringrazio tutti coloro che hanno curato la vostra formazione, i vostri Genitori e le vostre famiglie, i Parroci e i Sacerdoti delle Parrocchie di origine e di ministero, i Superiori del Seminario Regionale, mentre chiedo a coloro a cui siete stati inviati per svolgere il vostro ministero, di aiutarvi con la preghiera e con l’esempio a custodire la vostra vocazione. Veglino su di voi Maria Ss.ma, la Diaconessa del Signore, San Barsanofio, i Ss. Medici e tutti i Santi protettori. Amen.
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