Omelia nell'Ordinazione Presbiterale di don Vincenzo Rubino e don Antonio Sternativo
Oria, 19 dicembre 2020 - Chiesa di S. Giovanni Paolo II
“Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti?... Il Signore ti annuncia che farà a te una casa” (2Sam 7, 5b. 11b).
Queste parole, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, esprimono la meraviglia di Dio nei confronti di Davide, il grande Re di Israele, per un’idea che questi aveva avuto quale atteggiamento di rispetto e di riconoscenza nei confronti di Dio: costruirGli una casa perché potesse avere un luogo stabile dove stare con gli uomini, dal momento che proprio il Re, con il sostegno e la protezione di Dio, aveva potuto costruirsi una casa comoda in cui vivere protetto. Dio si meraviglia non per l’atteggiamento di riconoscenza e di rispetto di Davide ma perché questa proposta del Re rivela un progetto, che vorrei definire politico umano, a cui Davide voleva dare sacralità, voleva avere la consacrazione da parte di Dio. E Dio, nel mentre fa la promessa che sarà Lui a dare una casa a Davide, manifesta una grande verità che ritroveremo nel Vangelo dell’Annunciazione: ogni progetto di redenzione e di costruzione del Regno non potrà mai avere l’uomo come principio ideatore, come punto di partenza. In altre parole, l’uomo non potrà mai progettare la salvezza e chiedere a Dio di benedirla, quasi di renderla sacra perché, dopo il peccato, l’umanità non è più in grado di risollevarsi da sé; ha bisogno di un Salvatore, necessita di un progetto di redenzione e di salvezza che provenga da un cuore non inquinato, da una volontà di grazia che sia gratuita, cioè che si manifesti come dono.
È in questa chiave che dobbiamo leggere l’annuncio che l’angelo Gabriele porta a Maria: è sempre il Padre che prospetta e realizza la redenzione dell’umanità servendosi di un terreno vergine, non contaminato dal peccato. E, anche se parliamo della Beata Vergine Maria, la Piena di Grazia, la Tutta Bella, la senza macchia, tuttavia dobbiamo riconoscere che solo Dio può pensare un piano di redenzione e metterlo in essere, e poi condurlo a compimento.
In questa prospettiva, l’umanità può e, ovviamente, deve solo collaborare con Dio, non può sostituirsi a Lui, nemmeno quando pensa cose buone, cose sante, cose che richiamano Dio. Così l’uomo è invitato a dire, con forza e coraggio, il proprio “eccomi”; è chiamato ad offrire la propria disponibilità al Padre. Quindi, non un progetto ma una disponibilità per creare la sinergia salvifica tra Dio e noi!
Ed è proprio ciò che ha fatto Maria!
Cari Ordinandi, vi sarete certamente accorti che questa Parola rivelativa del pensiero e dell’azione di Dio, vi interessa molto da vicino!
A Voi che, presentandomi la domanda di essere ordinati Sacerdoti, avete chiesto alla Chiesa di accogliere il vostro desiderio di consacrazione per la diffusione del Regno di Gesù Cristo nel mondo, Dio sta rispondendo con la Sua Parola dicendovi che il progetto non è vostro, non può essere vostro! E la chiamata, la vostra vocazione, che la Chiesa ritiene autentica, non è un invito a presentare un progetto di evangelizzazione, magari anche ben fatto, ma ad offrire la vostra disponibilità, il vostro terreno reso vergine dalla grazia del Battesimo, sul quale il Signore costruirà a voi una casa! L’opera di costruzione del Regno non vi appartiene, è di Dio! Con Lui dovrete collaborare in modo sinergico per portare frutti buoni.
Entrate sempre di più nella consapevolezza che il progetto della vostra chiamata è del Signore, non vostro, e che voi sarete mandati ad attuarlo secondo le Sue imprescrutabili vie!
Solo così la vostra vita potrà dare al Padre, “che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, gloria nei secoli” (Rm 16, 27).
Cari Ordinandi, avendo come orizzonte questa visione della vostra vocazione, che è anche l’orizzonte di ogni vocazione di consacrazione, desidero soffermarmi con voi su alcune parole che l’evangelista Luca ci ha offerto.
Innanzitutto l’invito alla gioia: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1, 28). Imparate a coltivare la gioia, ad essere preti pieni di gioia.
Nell’omelia dell’ordinazione diaconale di Vincenzo richiamavo la necessità di essere “servo gioioso per offrire la gioia nel servizio”. E oggi chiedo ad entrambi di essere ministri di gioia, una gioia che deve albergare nel vostro cuore e che dovrete offrire al prossimo.
Ci esorta Papa Francesco: “Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene” (Evangelii gaudium n. 2).
La vostra gioia nasca dalla consapevolezza che il “Signore è con te”, come ha detto l’arcangelo Gabriele a Maria.
Scriveva San Paolo VI: “La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia” (Gaudete in Domino, 8).
Il vostro ministero non dovrà creare occasioni di piacere, fosse anche spirituale, ma dovrà portare la gioia della presenza di Gesù, attraverso la Parola: letta, meditata, pregata; i Sacramenti: ricevuti e vissuti per sé prima che celebrati per gli altri; la testimonianza della comunione fraterna tra ministri condiscepoli; e la carità, che deve avere la preziosità del vostro sangue versato e donato, anche se non necessariamente in modo cruento.
Perciò: Rallegrati Antonio, rallegrati Vincenzo: il Signore è con voi, e voi siate con il Signore!
Nell’azione pastorale che sarete chiamati a vivere, abbiate in gran conto l’esortazione che San Giovanni Paolo II ha rivolto a tutte le comunità cristiane all’inizio del nuovo millennio: “Le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche «scuole» di preghiera, dove l'incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero «invaghimento» del cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall'impegno nella storia: aprendo il cuore all'amore di Dio, lo apre anche all'amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio” (Novo millennio ineunte, n. 33). Dovrete essere “invaghiti” di Gesù Cristo, dovrete avere un’intimità con il Maestro come quella di due amanti. Solo la preghiera incessante vi porterà a vivere questa stupenda esperienza che dovrete offrire al prossimo, specialmente ai giovani.
Nel rivelare i sentimenti di Maria all’annuncio dell’angelo, Luca ci offre un sano senso di realismo: “A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo” (Lc 1, 29). Il turbamento e l’interrogativo di Maria sono segni di realismo, perché è umanamente impensabile ciò che Dio le stava rivelando. Quello che Dio chiede non è sempre immediatamente comprensibile, non è lapalissiano: realmente bisogna porsi domande, ma mai darsi risposte; bisogna attenderle da Dio, avere la pazienza di aspettare la Sua risposta! E qui, ancora, ritorna la necessità della preghiera, che vorrei definire di attesa, di ascolto e di accoglienza.
Miei cari Figli, il vostro ministero sacerdotale sia sempre caratterizzato dal santo timore di essere alla presenza del “Dio grande e terribile” (Dt 7, 21). Non vi succeda di prendere l’abitudine alle cose sacre, l’abitudine al vostro servizio sacerdotale, tanto da non rendervi conto di ciò che è posto nelle vostre mani: mi riferisco non solo ai sacramenti ma anche e, forse, soprattutto alla coscienza delle persone che vi saranno affidate! Si, perché la Chiesa vi affida la realtà più intima dei credenti: il sacrario della coscienza dove parla Dio. ”La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità”, insegna il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 16). Nell’animo di ogni uomo abita Dio e voi, con “timore e tremore” (Sal 55, 6), dovrete farlo percepire a chi vi sta dinanzi, dovrete illuminarli perché si scoprano figli amati dal Padre. Non vi accada di entrare nell’intimo dello spirito dei vostri fratelli e delle vostre sorelle con l’irruenza di un elefante. Abbiate sempre passi leggeri e delicati, decisi ma non violenti. Non fate ombra a Cristo: impegnatevi perché nella vostra azione vedano Lui e a Lui si affezionino.
L’invito di Gabriele a Maria è a non avere paura: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1, 30). Il timore della presenza di Dio non è paura, anzi proprio il timore scaccia la paura perché rende consapevoli e rispettosi di Chi ci sta dinanzi. E, nella preghiera continua e costante, fatta di ore di adorazione perché la preghiera è la vostra primaria opera pastorale, interrogatevi sempre come possa avvenire che Dio compia opere grandi attraverso la vostra umana debolezza: “Come avverrà questo?” (Lc 1, 34).
La risposta al vostro orante interrogativo sta in ciò che comincia questa sera e che sarà la fonte della vostra forza ministeriale: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” (Lc 1, 35). Con l’imposizione delle mani lo Spirito Santo scenderà su di voi e, nella misura in cui sarete docili, Egli, continuando ad effondersi su di voi per tutto il tempo del vostro esercizio del ministero come una continua Pentecoste, realizzerà opere sempre più grandi, ma commisurate alla capacità di arrendervi a Lui, alla Sua forza, al Suo soffio vitale. Non impedite allo Spirito di Dio di generare, attraverso di voi, figli di Dio, figli santi. Fatevi coraggio e guardate ai vostri fratelli di ministero, al Presbiterio nel quale state per entrare a pieno titolo. Essi sono come la prova che l’angelo Gabriele ha dato a Maria: “Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile” (Lc 1, 36). Le grandi opere di Dio che avete visto compiersi, sin da quando avete consapevolezza e coscienza, attraverso i Sacerdoti che il Signore ha posto sulla vostra strada, e di cui ora voi diventate Confratelli, sono la garanzia che, se vi lasciate guidare dallo Spirito del Signore Risorto, anche voi sarete strumenti preziosi ed efficaci per la diffusione del Regno. E tutto questo perché “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37). Ve lo ripeto: “Nulla è impossibile a Dio”. All’uomo moltissime cose sono impossibili, ma a Dio nulla!
La Chiesa, vostra Madre e Maestra, attende la vostra disponibilità, attende che anche voi, oggi e sempre, in ogni situazione, in ogni circostanza, sempre fino alla Croce, diciate con Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).
Avviandomi alla conclusione, vi invito a meditare spesso questo passo della Regola Pastorale di San Gregorio Magno, perché sono certo che vi aiuterà a mantenervi nell’umiltà nell’esercizio del ministero: “Abbiamo voluto dimostrare in breve, con quel che abbiamo detto sopra, quanto sia grave il peso del governo delle anime, perché nessuno che non sia in grado di sostenerlo osi accostarsi temerariamente ai ministeri sacri e, per la bramosia di raggiungere il luogo della massima dignità, si assuma invece la guida della perdizione” (I, 3).
Sento il desiderio di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di voi: in particolare i vostri Genitori, i vostri Parroci e i Sacerdoti che vi hanno guidato, i Superiori dei diversi Seminari.
Veglino su di voi la beata Vergine Maria, Serva del Signore, San Vincenzo de’ Paoli, Sant’Antonio, Sant’Eligio, Sant’Agnese, San Barsanofio, i Ss. Medici, San Giovanni Paolo II e il beato Bartolo Longo. Amen.
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