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Omelia del vescovo Vincenzo nella Santa Messa per la solenne apertura dell'Anno Giubilare

Oria, 29 dicembre 2024 - Chiesa Cattedrale

Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3, 1).

Carissimi Amici,

che bello ritrovarsi oggi tra tanti fratelli e sorelle per vivere insieme la solenne apertura dell’Anno giubilare ordinario, sperimentando che siamo tutti pellegrini della speranza. Ed è quanto mai consolante sentire e meditare sulle parole che l’Apostolo Giovanni ci ha rivolto: siamo veramente figli di Dio! Non è una pia illusione, non è una consolazione a buon mercato, non è una parola vuota, priva di significato e pronunciata solo per riempire un vuoto: se ancora non lo abbiamo fatto, ora è il momento di prendere coscienza di chi realmente siamo, di ciò che ci è stato donato, nonostante la nostra debolezza e la nostra riluttanza: siamo chiamati e realmente siamo figli di Dio! Ecco la radice della speranza, cui questo nuovo Anno santo è stato dedicato da Papa Francesco.

È l’amore del Padre, che ci riconosce suoi figli, nonostante i nostri continui atteggiamenti di ribellione e di fuga dalla sua casa, che ci apre alla speranza, che ci sostiene nello sperare il meglio per la nostra vita! La speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore che l’amabile Cuore di Gesù, per noi trafitto sulla Croce, effonde sul mondo intero.

La Chiesa celebra oggi la festa della sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe ed è provvidenziale che come Comunità diocesana, come Chiesa diocesana ci siamo ritrovati per sentirci dire che siamo figli di Dio: siamo la santa famiglia dei figli di Dio che si è incamminata sulle vie della speranza: ecco il volto della nostra santa Chiesa di Oria. Figli di Dio, fratelli fra noi! Non dimentichiamolo mai! Figli di Dio, fratelli fra noi! E come buoni fratelli, aiutiamoci l’uno l’altro nel percorrere le vie della speranza.

Abbiamo iniziato questa solenne celebrazione partendo dalla Chiesa San Domenico in Piazza Lorch – già Piazza San Domenico - compiendo un percorso che possiamo definire pellegrinaggio. Ma cos’è il pellegrinaggio e a cosa serve? Come abbiamo ascoltato nel vangelo, - “I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa” (Lc 2, 41-42) -, anche la sacra Famiglia compiva il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme. Quel camminare insieme, nella carovana con parenti e amici, verso il luogo santo per diversi giorni dava l’opportunità di rinsaldare relazioni, chiarire dubbi, aprire il cuore, chiedere perdono, ricordare le meraviglie che Dio aveva compiuto e stava ancora compiendo per quel popolo. Insomma, era un ridare respiro alla speranza a volte smarrita per le più disparate circostanze.

Più in generale, il pellegrinare insieme è scegliere di mettersi in cammino per ritrovare il senso della vita.

Anche noi, uomini e donne del terzo millennio, tecnologicamente avanzati, apparentemente protetti dal nostro mondo dorato, potremmo essere stati disorientati dalle vicende che ci coinvolgono quotidianamente nella vita privata, o anche dalle vicissitudini della vita sociale, o ancora dalle tante urla che ci giungono dai media social; la nostra esistenza, così apparentemente sicura, potrebbe essere al punto da non sapere più verso quale meta dirigere i propri passi!

Potremmo aver smarrito il senso stesso della vita, potremmo non nutrire più speranza in un futuro migliore, che appaghi il nostro animo, che ci faccia sentire nella gioia. Potremmo essere ancora il popolo che cammina nelle tenebre, come ci ha ricordato il profeta Isaia nella veglia di Natale.

Ci viene in aiuto l’Anno santo proponendoci il pellegrinaggio come mezzo che ci aiuti ad uscire dalla confusione e dalla indeterminatezza per ritrovare il senso della vita, cioè il nostro essere figli di Dio! Tale condizione, che non è meritata né poteva essere anche solo richiesta, ma è puro dono di un Padre che non si rassegna nel vedere la propria meravigliosa opera uscita dalle sue mani sante, per la quale ha fatto versare il sangue del Figlio Unigenito Gesù Cristo, vagare nelle tenebre, vivere con la tristezza nel cuore, non avere una meta di gioia o, ancora peggio, avere mete di gioia effimera, vana che svanisce come un sogno al risveglio.

Il senso della nostra vita è prendere consapevolezza che siamo figli di Dio e sforzarsi di vivere come tali. Abbiamo bisogno che lo Spirito Santo irradi la luce della speranza su di noi: invochiamolo spesso in questo Anno giubilare, invochiamolo per noi stessi, per le persone a noi care, per chi ha perso il senso della vita, per chi ha la fede tiepida o addirittura smarrita, invochiamolo per la Chiesa intera, invochiamolo per le nazioni in guerra e per ogni uomo che vive sulla faccia della terra.

Lo Spirito del Padre creatore ci porti, durante quest’Anno, ad un incontro vivo e personale con il Signore Gesù, che è la porta della salvezza. Bisogna fare come Maria e Giuseppe: “Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme” (Lc 2, 44-45). Cercare Gesù! Ecco l’impegno per l’Anno giubilare. Cercarlo nei luoghi più consueti, tra parenti e conoscenti, ma cercarlo anche ritornando sui propri passi, senza paura di dover rifare un percorso già fatto, senza paura di dover ammettere una leggerezza o un fallimento per aver avuto la presunzione di avere sempre vicino il Maestro.

Tornare indietro! Non è forse il significato della parola “metànoia”, “conversione”? Si, tornare indietro per cercare Gesù, convertirsi per cercare Gesù! Questo ci suggerisce oggi la vicenda della santa Famiglia. Ma ci offre anche un ulteriore input di speranza: “Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51). Se ci lasciamo spingere dallo Spirito e ci convertiamo per cercare Gesù, abbiamo questa promessa: Egli scenderà con noi nella nostra Nàzaret, cioè nella nostra vita di ogni giorno. E questo ci darà la gioia della speranza perché vedremo la nostra vita, e anche le nostre incongruenze, con occhi nuovi, con gli occhi purificati dal collirio della speranza. Impareremo la pazienza, che è generata dalla speranza e vinceremo la moderna volontà di volere tutto e subito, vinceremo la fretta che porta con sé insofferenza, nervosismo e violenza gratuita, lasciandoci nell’insoddisfazione e nella chiusura.

E impareremo anche che la speranza è la virtù attraverso la quale si desidera la vita eterna come la nostra vera felicità! E comprenderemo, ancora una volta, che la speranza non è un dono e una virtù privati, da tenere per sé stessi, richiede, invece, di essere rilanciata sul nostro prossimo. Dobbiamo porre segni di speranza, specialmente dove è stata perduta. Non possiamo non sperare e non chiedere con una preghiera fervente e costante la pace nel mondo; non possiamo non adoperarci per una ripresa della natalità, impegnandoci ad aiutare le giovani coppie, chiedendo anche alle autorità civili, secondo le proprie competenze e possibilità, politiche che favoriscano le nuove nascite, speranza del futuro e avendo la massima cura e tutela per l’infanzia; non possiamo non prenderci cura degli ammalati, nei quali la sofferenza spesso scava l’anima; degli anziani, la cui amara solitudine li sconfigge; dei poveri, abbandonati a se stessi: sarà il segno che speriamo in un mondo nuovo, dove l’amore vince su tutto!

Un segno particolare di speranza dobbiamo porre per i giovani: dobbiamo averne più cura, più attenzione, più ascolto, più vicinanza, più paternità, non solo amicizia ma più paternità. Dobbiamo portare la speranza nella loro vita ferita, nelle loro attese tradite, nei loro sogni infranti, nei loro fallimenti che frantumano il cuore.

L’indulgenza che potremo ottenere ogni giorno, per i vivi e per i defunti, secondo le disposizioni già note, renderà la nostra coscienza più agile nel correre sulle vie del vangelo e ci renderà più capaci di seminare speranza.

Sia sempre sulle nostre labbra e nel nostro cuore, durante tutto l’Anno giubilare, l’invocazione che abbiamo ripetuto durante l’Avvento e che chiude il libro dell’Apocalisse e tutte le scritture: “Vieni, Signore Gesù! Maranathà! Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 20). Amen.

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