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Omelia nella celebrazione di chiusura dell'Anno della Fede

Oria, 24 novembre 2013 - Basilica Cattedrale

Amati, Fratelli e Sorelle, Figli nel Signore,

ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Col 1, 12).

Con la grazia di Dio siamo giunti a questa celebrazione conclusiva dell’Anno della Fede, nel quale ci eravamo introdotti attraversando la porta che è “sempre aperta per noi” (PF, 1), la “porta” che è Cristo Signore: “Io sono la porta” (Gv 10, 7), la porta attraverso la quale possiamo giungere alla vita di comunione con Dio, e che ci permette anche di entrare nella Comunità dei Redenti, dei figli di Dio, nella sua Chiesa.

Il primo sentimento che deve sgorgare dal nostro cuore e affiorare come inno di lode sulle nostre labbra è la gratitudine, come ci ha indicato san Paolo nella seconda lettura di oggi.

Dobbiamo essere grati al Signore che ci ha resi capaci di camminare nella fede, di vivere situazioni e occasioni per accrescerla, per irrobustirla e per purificarla.

Nell’aprire l’Anno della Fede, lo scorso 11 ottobre 2012, ho indicato cinque obiettivi da raggiungere nel cammino di questo Anno di grazia che il Signore ci ha offerto:


  1. l’ascolto attento, profondo, meditato di quella Parola che il Signore ha riservato per il nostro personale incontro con Lui e che deve coinvolgere cuore e mente, quella Parola scritta sulla pietruzza bianca che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve, come indica il libro dell’Apocalisse (cfr. Ap 2, 17);

  2. poi, l’approfondimento dei contenuti della fede, attraverso la catechesi con gli adulti, per essere sostenuti in un cammino di ricerca e di speranza “mai compiutamente terminato in questa vita” (PF, 6);

  3. il terzo obiettivo è la testimonianza, da vivere nelle case e nelle famiglie, nei posti di lavoro e nello svago; ma anche nella salute e nella malattia, nel lavoro e nel riposo; in modo particolare nell’Eucarestia, che è la celebrazione della nostra fede nel Giorno del Signore, la domenica;

  4. E poi ci siamo impegnati nella nostra propria conversione: abbiamo compreso che è necessario ri-orientare il proprio cammino verso l’incontro con il Signore, prendendo coscienza delle nostre debolezze e, al tempo stesso, della potenza di Dio che ci purifica e ci rinnova;

  5. L’ultimo obiettivo è la necessità di intensificare la testimonianza della carità, discernendo le povertà che affliggono la nostra gente.


E avevamo avuto lo stimolo di Papa Benedetto XVI: “Nessuno diventi pigro nella fede” (PF, 14).

Ecco, questa sera siamo qui, convocati dalla SS.ma Trinità, per ringraziare il Signore del cammino che abbiamo fatto: ognuno, singolarmente o come comunità, sa che tipo di cammino ha percorso in questo Anno della Fede, ognuno sa quali obiettivi ha raggiunto e in quale misura, e sa anche gli obiettivi che non ha raggiunto. Ognuno sa ancora il cammino che gli sta dinanzi e che deve oggi nuovamente scegliere per giungere al fine ultimo della nostra esistenza: l’incontro intimo e comunionale con il Signore!

Dice Sant’Ambrogio: “(Il ladrone) pregava che il Signore si ricordasse di lui quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso; la vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10, 121).

Proprio il brano di vangelo che è stato proclamato in questa ultima domenica dell’anno liturgico, festa di Cristo Re dell’universo, ci offre l’opportunità di una verifica del nostro impegno. E la verifica è necessaria perché ciò che si chiude è l’Anno della Fede ma non il cammino di fede, perché alla fede non basta un anno per ravvivarsi nel cuore dei credenti!

E allora ripercorriamo il brano del vangelo di Luca.

Chi sono i personaggi presenti alla crocifissione di Gesù, e che il vangelo ci ha fatto conoscere?

Innanzitutto il popolo. Questa folla giunta per assistere ad una esecuzione capitale, che è sempre uno spettacolo macabro ma attraente, è lì per vedere crocifiggere i due malfattori, che erano stati dei violenti, e questo rabbì che non aveva violenza alle spalle, ma solo un mite annuncio della vicinanza di Dio all’umanità colto come una grave bestemmia. Cosa fa il popolo dopo la crocifissione? Guarda, non si schiera. Lo aveva fatto prima, gridando a Pilato “Crocifiggilo, Crocifiggilo” (Lc 23, 21). Adesso si mantiene a distanza, non vuole immischiarsi, non vuole coinvolgersi. A me pare che questo atteggiamento è quello di tanti cristiani del nostro tempo, della nostra Chiesa di Oria che si fermano alla soglia della porta della fede. Sono i cristiani del sagrato: stanno a guardare ma non si espongono. Vivono quella prudenza fraudolenta che li porterà a sentirsi dire dal Signore: “Non vi conosco” (Mt 25, 12).

Ci sono poi i capi. Cosa fanno i capi? Deridono Gesù: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23, 35). Provano un certo gusto e, direi, soddisfazione nel vedere la sconfitta di Gesù sulla Croce! E’ una sorta di riprova della loro teoria: “Se fosse il Cristo, dovrebbe mostrare i muscoli, far vedere chi è, dare una prova di forza, sconfiggere i nemici. Ma se rimane sulla Croce è uno qualsiasi, un millantatore che incantava le folle. Quindi è giusto e anche utile toglierlo di mezzo perché non dia fastidio”.

Tanti cristiani, che si dicono tali, oggi, anche nella nostra Chiesa di Oria, vorrebbero un Cristo interventista, giudice immediato ed esecutore spietato! E se Cristo non vuole agire così, lo faccia almeno la Chiesa. Faccia vedere chi è! Una Chiesa che si accontenta di seguire il proprio Maestro nell’umiltà della Croce non può vincere nello scontro tra i poteri forti del mondo! Questi sono i cristiani del potere!

Ci sono poi i soldati, che pure deridono il Cristo: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Lc 23, 37). Sono coloro che esercitano un potere e non hanno altro metro per giudicare che il loro. Abituati alla lotta, non comprendono la misericordia, l’amore. Questi sono i cristiani rinchiusi nelle proprie sicurezze del mondo! I deboli devono essere sempre sopraffatti proprio perché sono deboli e non sanno reagire in modo conveniente!

Ci sono poi i due malfattori. Sono coloro che hanno agito e reagito con violenza. Sono coloro che protestano, magari per cose giuste, ma in modo sbagliato. Il male non si combatte col male. San Paolo ci insegna: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rom 12, 21).

Dei due malfattori, uno insulta Gesù: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!” (Lc 23, 39). Non c’è semplice derisione, ma insulto perché vuole egoisticamente ottenere la propria salvezza. Non gli importa della salvezza di Gesù, ma della propria. E’ l’immagine dell’uomo che ignora Dio e se lo rappresenta a sua immagine e somiglianza. Se Dio mi accontenta, lo rispetto! Sono questi i cristiani di interesse!

Ma c’è anche l’altro malfattore che, sebbene tale, però riesce a contemplare l’Invisibile, riesce a vedere che quell’Uomo appeso alla Croce come lui è innocente, ed ha scelto di morire innocente e debole per poter offrire la salvezza ad ogni uomo. Rimprovera il compagno che non ha timore di Dio e sapienza. D’altra parte, come dice il Salmo 111, 10: “Principio della sapienza è il timore del Signore”. Riconosce pubblicamente le proprie colpe e, allo stesso tempo, l’innocenza di Gesù. Ed, infine, invoca: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23, 42). E’ un tipo di uomo di fede, scoperta solo alla fine, ma abbracciata con tutto se stesso.

Nelle poche battute che riporta l’evangelista Luca, c’è tutto il percorso di fede verso la salvezza che percorre quest’uomo e che offre anche a noi. Riconosce nel Crocifisso Dio incarnato che ama l’uomo peccatore; riconosce la Sua innocenza e il Suo Sacrificio Redentore dell’umanità; riconosce se stesso come peccatore e, nella preghiera che sgorga dal suo cuore e affiora sulle sue labbra come un grido sussurrato, chiede di essere salvato della salvezza vera.

La risposta lapidaria di Gesù è la sintesi di tutta l’opera di salvezza: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23, 43).

Commenta Sant’Efrem il Siro: “Attraverso il mistero dell’acqua e del sangue che sgorgano dal fianco del Signore, il ladrone riceve l’aspersione che gli ha dato il perdono dei peccati. Tu sarai con me in questo giardino di delizie” (Commento al Diatessaron 20, 26). E noi, l’acqua e il sangue, li abbiamo ricevuti nel Battesimo e nell’Eucarestia!

Ecco, miei cari, dopo il cammino fatto in questo Anno della Fede, da quale di questi personaggi sentiamo di essere rappresentati?

Siamo cristiani del sagrato? Siamo cristiani del potere? Siamo cristiani rinchiusi nelle proprie sicurezze? O siamo cristiani che guardano al proprio interesse? O, infine, siamo cristiani che sanno contemplare l’Invisibile e sanno dimenticare se stessi per sbilanciarsi tutti su Cristo?

Quando anche noi riusciremo a dire, come il ladrone: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”, allora la nostra fede sarà autentica e potremo godere la gioia di questa buona notizia, di questo vangelo: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.

Chiesa di Oria, dopo questa sosta che ti ha rinfrancata, riprendi il tuo cammino di fede! Ti attragga il Cristo Crocifisso, ti sostengano la Vergine Maria che è “beata” perché “ha creduto” (Lc 1, 45), San Barsanofio, i SS. Medici, i Santi Crisante e Daria, i Santi Martiri di Otranto, il Beato Bartolo Longo e il Beato Giovanni XXIII. Ti sostengano e ti accompagnino nel cammino verso i “cieli nuovi e la terra nuova” (Ap 21, 1). Amen.

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