Omelia nella dedicazione della Chiesa di Maria Immacolata M.D.P. in Ceglie M.ca
Ceglie M.ca, 26 marzo 2018
“Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!” (Ne 8, 9).
Carissimi Amici,
queste parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura e che il sacerdote Esdra, il governatore Neemia, insieme a scribi e leviti, rivolsero al popolo di Israele dopo la ricostruzione della città di Gerusalemme e del tempio, mentre proclamavano la parola che Dio aveva dato al popolo, bene si addicono alla nostra odierna celebrazione della dedicazione della nuova chiesa parrocchiale intitolata a Maria Immacolata, Madre della Divina Provvidenza. Si addicono bene perché davvero oggi è un giorno consacrato al Signore, un giorno che, sebbene nella settimana santa di passione di Gesù, non può essere di lutto e di tristezza perché il Signore manifesta in modo eloquente la sua misericordia per i fedeli di questa parrocchia, facendovi dono di un luogo sacro e accogliente nel quale fare esperienza di Dio. Infatti, cos’è una chiesa se non un luogo privilegiato nel quale incontrare Dio, non perché Egli sia solo qui, ma perché qui Egli ci chiama, ci convoca per costituirci popolo di Dio, Suo popolo, al quale desidera parlare, sussurrare parole di amore, parole che non sono un semplice suono ma diventano carne, cioè realtà viva ed efficace. Parole che pacificano l’anima e ci proiettano in avanti nel cammino, incontro al Signore che viene.
Miei cari, dobbiamo ritrovarci nell’esperienza di Israele che, nel riascoltare le parole che Dio aveva dato a Mosè, provano grandissima commozione, tanto da erompere in un grande pianto perché da tempo non potevano ascoltarle dato che non avevano più il tempio. Anche il nostro cuore deve essere commosso questa sera perché nella dedicazione di questo tempio, abbiamo la certezza che Dio ci vuole ancora parlare, ci vuole suggerire come arrivare e vivere in piena comunione con Lui, come essere nella gioia piena, come vivere da uomini veri.
L’uomo senza Dio è niente! È come la nebbia al mattino: appena compare il sole, svanisce. Così siamo noi senza Dio. E il fatto che il Signore oggi ci doni questo tempio deve farci comprendere che Egli vuole essere con noi!
È necessario, perciò, chiederci se noi vogliamo essere con Lui; se vogliamo che questo luogo, che diventerà spazio sacro, rappresenti l’occasione opportuna per farci raggiungere dall’amore di Dio, dalla sua misericordia, dal suo perdono che è vita nuova!
Se desidereremo questo, e ci sforzeremo per percorrere questa via, allora saremo costituiti in “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui” che ci “ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1Pt 2, 9-10).
Queste parole dell’Apostolo Pietro ci dicono in modo chiaro ed inequivocabile il significato del mistero che è nascosto nella chiesa: immagine e somiglianza di un popolo che non era popolo ma è diventato popolo di Dio; di una comunità che era esclusa dalla misericordia ed invece è stata circonfusa dall’abbraccio misericordioso del Padre.
Si, miei cari, questo tempio è il richiamo alla nostra identità! Siamo popolo di Dio, cioè siamo costituiti in popolo di Dio. Non è una nostra scelta quella di essere popolo di Dio, ma una vocazione, una chiamata, una costituzione che dobbiamo accogliere come dono. Da ciò comprendiamo che non siamo monadi isolate. Anzi, quando la tentazione di isolamento ci attanaglia, quando ci troviamo a vivere in un individualismo esasperato, che rompe le relazioni e ci fa credere che bastiamo a noi stessi, allora il recarsi in questo luogo sacro ci aiuta a vincere questa tendenza che ci porterebbe all’autodistruzione, perché questo luogo ci ricorda la nostra comune vocazione: salvati ma non individualmente, salvati come popolo e costituiti come popolo di Dio.
Capite bene che nessuno può dire all’altro: “Non ho bisogno di te!”, ma al tempo stesso nessuno può dire al suo prossimo: “Tu non hai bisogno di me!”. Ognuno di noi è legato al mistero della chiesa, ognuno di noi è tassello fondamentale di questo prezioso mosaico che è la chiesa. E quanto è bello ed edificante vedere l’impegno di ciascuno che si sforza di essere al proprio posto perché il mosaico risulti armonico, perché non ci siano distonie né immagini misteriose non eloquenti. Innanzitutto a questo ci richiama il dono di questo nuovo tempio.
Un altro elemento essenziale del mistero della chiesa è l’accoglienza. Questo luogo è la casa di tutti. Qui ognuno ha il diritto di sentirsi accolto, di sentirsi a casa propria; e allo stesso tempo qui ognuno ha il dovere di farsi accogliere e di essere accogliente. Possiamo ben dire che la chiesa è la più vera “casa di accoglienza”! Ma chi deve accogliere e chi deve essere accolto? Ognuno di noi, carissimi Amici, è chiamato ad essere colui che si fa accogliere dal Signore e, contemporaneamente, colui che accoglie Dio che si fa carne. Questa accoglienza tra noi e il Signore, avviene soprattutto attraverso i segni sacramentali: nel pane e nel vino, nell’acqua e nell’olio Dio ci accoglie e ci chiede di accoglierlo. E quanto più siamo capaci di accoglierLo, tanto più sperimentiamo la salvezza, l’essere strappati dalla morte ed essere condotti nella via della vita.
Ma c’è un’accoglienza che, almeno apparentemente, è più impegnativa di quella sacramentale: è l’accoglienza del Signore nel prossimo! La casa di Dio, la casa comune dei fedeli deve diventare una palestra dove ci si allena costantemente per imparare ad accogliere il Signore che viene nel prossimo, sia esso il povero, sia esso l’amico con cui vivo l’esperienza di comunità, sia esso il forestiero che si affaccia, forse per la prima volta, alla vita ecclesiale. Ecco, lo ripeto: la sacralità di questo luogo diverrà ancora più eloquente se ci si allenerà in continuazione ad essere accoglienti!
Nel dialogo con la Samaritana, Gesù afferma “Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre” (Gv 4, 21) . Queste parole ci svelano il mistero più grande del nuovo tempio. A differenza di quanto era avvenuto in Israele nell’Antica Alleanza, dove la presenza di Dio era “quasi” circoscritta al tempio di Gerusalemme, adesso, con la Nuova ed Eterna Alleanza, il Maestro ci dice che Dio è presente nella sua persona e che ogni atto di culto deve avvenire in Gesù e per mezzo di Gesù. Ed è proprio così, perché il Cristo è il nuovo tempio e “il ‘culto’ lo celebra Cristo stesso nel suo stare davanti al Padre, Egli stesso diventa il culto dei suoi mediante il loro riunirsi con Lui ed intorno a Lui” ( Benedetto XVI).
Cosicché il nostro non è più un culto che esercitiamo personalmente, ma in quanto inseriti in Gesù, con il quale diveniamo una cosa sola. E il Padre vede nel Figlio anche noi e accetta il Suo e nostro sacrificio di soave odore. Ecco, questo è il luogo del nostro innesto cultuale in Gesù! Qui diveniamo veri tralci uniti alla vera vite e che, pertanto, portano frutti. Questo è il mistero del nuovo tempio.
Desidero adesso richiamare l’attenzione su alcuni elementi architettonici e liturgici per spiegarne il significato spirituale.
Innanzitutto la porta d’ingresso. Nella sua imponenza non è semplicemente il mezzo attraverso il quale passiamo dall’esterno all’interno. Gesù ha detto: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10, 9). Tutte le volte che attraverseremo quella porta dovremo ricordarci che stiamo entrando in Cristo. E quando la porta è aperta, noi scorgiamo l’altare che riporta la ferita del costato di Cristo: attraverso di essa entriamo nell’intimità con Gesù. Veniamo in questo luogo proprio per cercare l’intimità con il Signore, quell’intimità che spesso ci dà coraggio nelle sofferenze, nelle malattie, nelle incomprensioni, nelle delusioni, ma ci permette anche di gioire dei buoni risultati familiari, lavorativi, sociali ed ecclesiali. Quell’intimità che ci fa sentire veri uomini, persone complete e soddisfatte. La porta è Cristo, non scordiamolo! Dovete sapere che un tempo, quando i pellegrini giungevano da lontano, prima di entrare in Chiesa baciavano gli stipiti delle porte come atto d’amore a Gesù e per ringraziarLo per essere giunti a poter entrare nella Chiesa. La porta ci ricorda anche il nostro Battesimo, che è proprio definito “la porta dei sacramenti e la porta della fede”.
C’è poi il fonte battesimale. È il grembo della Chiesa, dal quale rinascono a vita nuova i figli adottivi di Dio. È sottoposto rispetto al pavimento della Chiesa, perché dinanzi al fonte battesimale si vive l’esperienza del Battista al Giordano che, mentre Gesù scendeva nell’acqua del fiume, vide lo Spirito discendere su Gesù. Si scende al fonte perché bisogna scendere dal piedistallo del proprio orgoglio per accogliere l’amore incondizionato di Dio per noi.
Presso il fonte si professa la propria fede per la prima volta, o personalmente o tramite i genitori e i padrini, come avviene per i bambini. E così il fonte diviene il luogo del nostro primo “si” a Dio!
Quando, entrando in Chiesa, passiamo dinanzi al fonte, allora dobbiamo ricordarci che siamo nuova creatura e dobbiamo sempre dire “grazie” a Dio Padre che ci ha liberati dalla schiavitù del peccato. Vi invito a farlo sempre questo passaggio.
Poi c’è l’ambone. È il luogo dal quale viene proclamata la Parola di Dio; come tale, deve essere dignitoso.
L’ambone, nella sua nobile struttura, rammenta ai fedeli che la mensa della Parola di Dio è sempre imbandita da quando Cristo, con la potenza del suo Spirito, ha vinto la morte (Cfr. Benedizionale, n. 1238).
L’ambone è posto di fronte all’assemblea per far sapere a tutti che Dio vuole intrattenersi familiarmente con gli uomini, vincendo ogni distanza per realizzare la Sua prossimità e far risuonare ai nostri orecchi una voce familiare. Proprio così: mentre la voce del lettore proclama il testo, è Dio stesso che si avvicina e discende in mezzo al Suo popolo. Sì, la voce della Parola, infatti, è come la voce dello Sposo che desidera intessere un dialogo d’amore con la Sua fidanzata, suscitando il desiderio dell’incontro personale cui rivolgersi “per vedere la voce” (Ap 1, 10).
Nella prima lettura di questa liturgia abbiamo ascoltato l’esperienza del popolo di Israele quando ritrova il libro della Legge e come si pone dinanzi all’ascolto della Parola di Dio: “Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge” (Ne 8, 9b).
L’ascolto della parola di Dio deve portarci alla compunzione, alle lacrime del cuore, perché mentre Dio ci parla con la Sua Parola, ci svela l’intimo di noi stessi, ci invita a non allontanarci da Lui e dal prossimo.
La forma dell’ambone richiama tutta la Sacra Scrittura: ognuna delle lastre di marmo è richiamo ai libri che compongono la Bibbia. Ricordiamolo: in tutta la Scrittura è Dio che ci parla!
Il punto d’arrivo in questo tempio santo è l’altare, perché l’altare è Cristo!
Dice San Giovanni Crisostomo: “Il mistero di questo altare di pietra è stupendo; per sua natura la pietra è solo pietra, ma diventa sacra e santa per il fatto della presenza del corpo di Cristo. Ineffabile mistero senza dubbio, che un altare di pietra diventi in certo modo Corpo di Cristo” (In Epist. II ad Cor. Homilia XX).
L’altare è l’elemento centrale dell’economia sacramentale, è il segno e il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, ed è posto al centro per manifestare una presenza profondamente umana e fraterna, da cui ci viene pressante l’invito: “Venite a mangiare”. Gesù, invitandoci alla Sua mensa, ci fa Suoi commensali.
L’altare è, contemporaneamente, il luogo del sacrificio salvifico di Cristo ed il luogo della Sua convivialità con l’uomo redento. È pietra sacrificale ed è mensa nuziale. Tutta l’iniziazione cristiana converge verso la mensa, perché il pane-corpo che s’immola e si fa nostro cibo, diviene “farmaco d’immortalità”.
Come ho già accennato, la mensa riporta il costato aperto di Cristo: attraverso di esso entriamo nella familiarità e nell’intimità con Cristo. Dinanzi all’altare viviamo la stessa coinvolgente esperienza di Tommaso, l’Apostolo: “Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20, 27). Ciò che avviene sulla mensa, e noi possiamo toccare con le nostre mani, è il mistero d’amore di Gesù morto e risorto per noi. Questo mistero, l’Eucarestia, dobbiamo credere fermamente e amare intensamente! E nell’offerta dell’Eucarestia possiamo e dobbiamo deporre tutta la nostra vita: gioie e dolori, ansie e attese, lacrime e sorrisi, per ricevere il nutrimento per non fermarci nel cammino, per avere la forza di giungere alla nostra patria, per avere la forza di lottare contro il nostro nemico sapendo di avere già la vittoria di Cristo.
L’Ordo dedicationis Ecclesiae prevede che nell’altare siano deposte le reliquie di santi. In questo altare sono già state deposte le reliquie di San Luigi Guanella. Con questo gesto intendiamo chiedere a Dio che ogni nostra celebrazione eucaristica ci renda testimoni credibili, capaci di costruire il Regno di Dio tra gli uomini del nostro tempo, come lo è stato San Luigi Guanella.
Completano l’arredo liturgico la sede della presidenza e il tabernacolo. La sede della presidenza è orientata verso il luogo dell’annuncio, perché chi presiede l’Assemblea liturgica deve per primo prestare ascolto per poter poi insegnare ed è posta in prossimità dell’altare perché il Presidente, con il suo servizio liturgico opera la santificazione del popolo che gli è affidato dal Vescovo.
Il tabernacolo è il luogo in cui Cristo attende per essere adorato. È il luogo dove si può stare cuore a cuore con il Signore, dove si possono effondere i canti della gioia e le lacrime del dolore. E la sua forma slanciata a Croce ci innalza naturalmente verso il Cielo.
Ecco, miei cari, questo è il significato del tempio che dedichiamo a Dio. Abbiate cura, parrocchiani e Parroco, che questa sia sempre la casa di tutta la comunità, la casa comune, soprattutto la casa dei poveri. La Vergine Immacolata, Madre della Divina Provvidenza, che è stata il tempio del Verbo incarnato, custodisca questo tempio e questa comunità. Amen.
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