Omelia del vescovo Vincenzo nella Dedicazione della chiesa parrocchiale di San Giovanni Bosco in Manduria (TA)
Manduria, 30 maggio 2023 - Chiesa parrocchiale San Giovanni Bosco
“È entrato in casa di un peccatore!” (Lc 19, 7).
È il commento, sbigottito, della folla che accompagnava Gesù mentre Questi, attraversando la città di Gerico, entrò nella casa di Zaccheo, capo degli esattori delle tasse e uomo arricchito. È, anche, il comune pensare di tanti cristiani che ritengono il cristianesimo una religione di uomini puri, immacolati, senza ombra di peccato. Insomma, dei santini di carta pregiata! E così pensando, depotenziano l’opera salvifica realizzata da Gesù, il Quale si è fatto carne, uomo, proprio per cercare, trovare e incontrare i peccatori. Lo ha detto Lui stesso: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5, 32). E allora, solo se ci riconosciamo peccatori, non solo con le labbra ma con il necessario atteggiamento di verità e di umiltà, Gesù è venuto per noi: siamo coloro che Egli cerca per salvare!
E questo tempio maestoso, che tra poco dedicheremo al Signore, è la casa dei peccatori, la nostra casa, la casa in cui entrerà Gesù e nella quale lo potremo sempre cercare e trovare.
Casa dei peccatori, ma vorrei aggiungere: casa dei redenti, casa dei figli amati e salvati da Dio!
Prendiamo coscienza di questo, Amici cari: questo tempio ci è donato per avere un luogo sicuro nel quale possiamo iniziare e continuare il nostro percorso di conversione, di adesione sincera e fattiva al Maestro Gesù!
Questo tempio è il luogo nel quale siamo chiamati a spogliarci dell’uomo vecchio, condizionato dalle proprie passioni, dal proprio orgoglio e dall’egocentrismo, per rivestirci dell’uomo nuovo, fatto a immagine di Dio.
Questo tempio, nella sua maestosità e bellezza, è l’albero di sicomòro sul quale salire per vedere Gesù, specialmente quando la nostra statura morale è bassa e non ci permette, con le nostre forze, di cogliere il passaggio del Signore. Questo tempio è il luogo privilegiato nel quale il Signore si ferma dinanzi a noi, come ha fatto con Zaccheo, e ci invita ad accoglierLo nella nostra casa, a fargli spazio nella nostra vita, a permetterGli di orientare le nostre scelte nella giustizia e verso i bisognosi.
In questo tempio, da oggi e per ogni giorno della sua esistenza, risuona questa consolante parola di Gesù: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza” (Lc 19, 10). Ed è una parola che non è rivolta alle mura ma a coloro che vi entreranno spinti dal desiderio di vedere il Signore, di entrare in intimità con Lui, di manifestarGli la gratitudine per i doni ricevuti, per chiedere aiuto nel bisogno, per effondere gli aneliti del cuore.
Si! In questo tempio troveremo il Signore dell’universo, del Quale la terra è sgabello dei suoi piedi!
Ma dovremo saperlo cercare. Egli, per quanto presente, non si fa trovare da chi ha un cuore indurito, da chi lo vuole sfidare, da chi lo vuole usare, da chi pensa di poterlo sfruttare. Solo a un cuore desideroso di bene, per quanto consapevole di peccato, il Signore si mostra, si fa sentire, attrae a Sé.
Teniamolo a mente, Amici cari: questo tempio è la casa dei peccatori redenti! Ed in questa casa nessuno deve sentirsi straniero o ospite, ma tutti siamo concittadini dei santi e familiari di Dio (cfr. Ef 2, 19ss). La frequenza di questo luogo santo in cui Dio ci attende e si mostra a noi, per chi ha lo spirito di Zaccheo, sarà la condizione favorevole perché lo Spirito santo ci edifichi insieme per farci diventare l’abitazione di Dio, ci permetterà di diventare noi stessi tempio di Dio. Ce lo ha detto a chiare lettere San Paolo nella seconda lettura: “Voi siete edificio di Dio” (1Cor 3, 9c).
Questo tempio, casa comune, casa di Dio in mezzo alle case degli uomini, è l’immagine ed il prototipo di ciò cui siamo tutti chiamati: essere tempio di Dio in cui lo Spirito santo si compiace di abitare.
Questa è la nostra comune vocazione, Amici cari: essere la Chiesa di Dio, in cui Egli, benedetto nei secoli, desidera prendere dimora. Il lungo tempo necessario per costruire questo tempio di pietra, ci richiama all’impegno, mai completo, della costruzione della Chiesa vera, quella fatta da pietre vive, che siamo noi! Mai dobbiamo fermarci e niente deve bloccarci nella costruzione della Chiesa viva, fatta di persone, di peccatori redenti, di santi. Ogni costruzione che non cresce, prima o poi deperisce. E così è anche il tempio santo di Dio che siamo noi! Se non cresciamo in santità di vita, con una lotta continua contro lo spirito del male e contro i vizi che alimenta nella nostra esistenza, magari facendoli passare per cosa buona; se non ci impegniamo con tutte le nostre energie a rimanere uniti gli uni agli altri, a percorrere vie comuni, cioè sinodali, difficili ma appaganti; se non mettiamo da parte i progetti personali e le visioni miopi di Chiesa, anche noi, come tempio di Dio andiamo in deperimento. Anzi rischiamo di distruggere il tempio di Dio, che siamo noi. E la conseguenza è estremamente grave. San Paolo ci ammonisce con queste parole dure ma vere: “Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui” (1Cor 3, 17).
Questo tempio, che oggi dedichiamo a Dio, costituisce, al tempo stesso, ciò che siamo e ciò che dobbiamo continuamente realizzare.
Ogni volta che vi passiamo dinanzi, guardando la sua imponenza, dobbiamo ricordare la forza che scaturisce dalla comunione. Tutte le volte che entriamo tra le sue mura, dobbiamo umilmente chiedere a Dio di farci crescere nell’unità, non solo con i cristiani della parrocchia o della città o della diocesi, ma del mondo intero. E quando usciamo da questo tempio, dobbiamo portarci la volontà, l’impegno e l’entusiasmo di porre sempre semi di comunione.
Questa nuova dimora di Dio tra gli uomini, ci richiami al continuo e comune impegno per la crescita della comunità cristiana, da vivere con entusiasmo, con passione, senza campanilismi. La parabola costruttiva di questo tempio e del nuovo complesso parrocchiale è particolarmente eloquente del cammino di salvezza, cui ogni uomo è chiamato: avevamo un tempio e un complesso di locali divenuti, nel tempo, strutturalmente inagibili. Siamo stati costretti a demolirli per la nuova costruzione. Ed è avvenuto come per l’uomo vecchio, che non poteva più vivere, e che Cristo ha distrutto sulla Croce, dandoci l’uomo nuovo, risorto nello Spirito dal sepolcro. E oggi, questo tempio, ci richiama alla responsabilità di essere uomini nuovi, salvati dalla Grazia.
Mi permetterete ora di richiamare alcuni elementi architettonici per spiegarne il significato spirituale.
Innanzitutto il portale d’ingresso, con il maestoso portone di bronzo. Non è semplicemente una struttura che segna il confine tra l’esterno e l’interno. Gesù ha detto: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10, 9). Quel portone è Gesù! Attraverso di Lui entriamo nella salvezza e usciamo per trovare pascolo.
Gli antichi pellegrini, dopo aver fatto un lungo percorso, giungendo alla sospirata meta, una Chiesa, un Santuario, prima di entrare vi baciavano gli stipiti quale atto di riconoscimento che il loro ingresso non era in un luogo qualunque ma nella vita di Cristo. Dinanzi a questo portone di bronzo, anche quando la Chiesa fosse chiusa, chiunque potrebbe elevare la propria preghiera ed essere aiutato nella meditazione sulla propria salvezza. Come è stato ideato e realizzato, il bassorilievo del portone ci riporta innanzitutto alla condizione comune a tutti gli uomini: quella di peccatori. Nella parte superiore è riportata la scena del peccato delle origini, che tutti ci tocca! Ma subito, come rimedio al peccato, il fedele è attratto dai misteri della redenzione: l’Annunciazione, la Crocifissione, la Resurrezione e il mistero della Chiesa, gloriosa nei Santi e pellegrinante nella storia. E così, chi attraversa questa porta, è stato reso cosciente di entrare in Cristo e nella via della salvezza! E questa consapevolezza sia sempre presente in ciascuno perché il passaggio della porta sia fruttuoso!
Il fonte battesimale, speculare alla penitenzieria, di forma ottagonale, richiamo al giorno ottavo, quello della resurrezione di Gesù, ci ricorda la necessità della purificazione e la nostra adozione a figli di Dio. Impariamo a pregare anche dinanzi al fonte battesimale per manifestare la gratitudine al Padre di Gesù Cristo per averci fatto dono della figliolanza divina. Recandoci abitualmente dinanzi al fonte, preghiamo così: “Grazie o Padre perché mi hai scelto come un tuo figlio. Tienimi stretto a te”. E nella penitenzieria, dopo la confessione, preghiamo così: “Grazie o Padre perché mi hai nuovamente accolto nella tua casa”.
Punto centrale e focus d’attrazione è l’altare: è il punto d’arrivo in questo tempio santo, perché Cristo è l’altare!
Mi piace richiamare una riflessione di San Giovanni Crisostomo: “Il mistero di questo altare di pietra è stupendo; per sua natura la pietra è solo pietra, ma diventa sacra e santa per il fatto della presenza del corpo di Cristo. Ineffabile mistero senza dubbio, che un altare di pietra diventi in certo modo Corpo di Cristo” (In Epist. II ad Cor. Homilia XX).
L’altare è l’elemento centrale dell’economia sacramentale, è il segno e il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, ed è posto al centro per manifestare una presenza profondamente umana e fraterna, da cui ci viene pressante l’invito: “Venite a mangiare”. Gesù, invitandoci alla Sua mensa, ci fa Suoi commensali.
L’altare è, contemporaneamente, il luogo del sacrificio salvifico di Cristo ed il luogo della Sua convivialità con l’uomo redento. È pietra sacrificale ed è mensa nuziale. Tutta l’iniziazione cristiana converge verso la mensa, perché il pane-corpo che si immola e si fa nostro cibo, diviene “farmaco d’immortalità”.
Ogni domenica, quando partecipiamo alla celebrazione eucaristica, su questa mensa siamo chiamati a deporre tutta la nostra vita: gioie e dolori, ansie e attese, lacrime e sorrisi. E da questa mensa riceviamo il nutrimento per non fermarci nel cammino, per avere la forza di giungere alla nostra patria, per avere la forza di lottare contro il nostro nemico sapendo di avere già la vittoria di Cristo.
L’Ordo dedicationis Ecclesiae prevede che nell’altare siano deposte le reliquie di santi, possibilmente Santi Martiri, perché il Martire è Colui che donando la sua vita per non rinnegare la sua fede in Cristo, ne è divenuto un testimone efficace. In questo altare saranno deposte le reliquie dei Santi Martiri Cosma e Damiano, medici anargiri e compatroni della nostra Diocesi di Oria, le reliquie dei santi coniugi Crisante e Daria, anch’essi Martiri e già patroni di Oria, le reliquie dei Santi Martiri di Otranto, i Quali nel 1480, pur di non rinnegare la fede in Gesù Cristo, si fecero massacrare dai Turchi, diventando così un popolo di testimoni credibili del Signore. Sono tutti Martiri e tutti Laici, come testimonianza dell’alto valore del sacerdozio battesimale, dono e responsabilità comune a tutti i battezzati. Deponendoli in questo altare, intendiamo chiedere a Dio che ogni nostra celebrazione eucaristica, cui partecipiamo come sacerdoti per il battesimo e per l’ordine, ci renda testimoni credibili, capaci di costruire il Regno di Dio tra gli uomini del nostro tempo.
Poi c’è l’ambone. È il luogo dal quale viene proclamata la Parola di Dio: deve rammentare ai fedeli che la mensa della Parola di Dio è sempre imbandita da quando Cristo, vincitore della morte, con la potenza del suo Spirito ha rovesciato la pietra del sepolcro (Cfr. Benedizionale, n. 1238).
L’ambone è posto di fronte all’assemblea per far sapere a tutti che Dio vuole intrattenersi familiarmente con gli uomini, vincendo ogni distanza per realizzare la Sua prossimità e far risuonare ai nostri orecchi una voce familiare. Proprio così: mentre la voce del lettore proclama il testo, è Dio stesso che si avvicina e discende in mezzo al Suo popolo. Sì, la voce della Parola, infatti, è come la voce dello Sposo che desidera intessere un dialogo d’amore con la Sua fidanzata, suscitando il desiderio dell’incontro personale cui rivolgersi “per vedere la voce” (Ap 1, 12).
Nella prima lettura di questa liturgia abbiamo ascoltato l’esperienza del popolo di Israele quando ritrova il libro della Legge e come si pone dinanzi all’ascolto della Parola di Dio: “Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge” (Ne 8, 9b).
L’ascolto della parola di Dio deve portarci alla compunzione, alle lacrime del cuore, perché mentre Dio ci parla con la Sua Parola, ci svela l’intimo di noi stessi, ci invita a non allontanarci da Lui e dal prossimo.
Mi piace pensare all’ambone come al Monte delle Beatitudini, sacro luogo da cui Cristo ha rivelato la legge nuova del Suo Regno. Nessun’altra voce deve effondersi da questo santo luogo. Ricordiamolo: dall’ambone è Dio che ci parla!
La sede della presidenza è in posizione tale che chi presiede l’Assemblea liturgica possa prestare per primo ascolto a Dio che parla per poter poi insegnare la via della vita; ed è posta in prossimità dell’altare perché il Presidente, con il suo servizio liturgico, opera la santificazione del popolo che gli è affidato dal Vescovo.
Il tabernacolo è il luogo in cui Cristo attende per essere adorato. È il luogo dove si può stare cuore a cuore con il Signore, dove si possono effondere i canti della gioia e le lacrime del dolore.
Completano l’arredo liturgico le dodici croci in marmo, sotto cui vi è una lampada accesa: sono la memoria che la Chiesa è apostolica, retta dalle dodici colonne degli Apostoli e dai loro successori. Le lampade devono essere accese ogni anniversario della dedicazione di questo tempio. E, infine, le quattordici stazioni della Via Crucis, splendidamente realizzate da un’artista oritana nella parte iconografica mentre la parte strutturale ha visto l’impegno personale del Parroco.
Un ultimo accenno desidero farlo ai tanti mosaici riportati in questo tempio: non sono solo un ornamento delle pareti, ma ci richiamano la natura stessa della Chiesa: ogni tessera è utile se collegata alle altre. Solo se stanno insieme permettono di vedere la figura mosaicale. Così è nella Chiesa: solo se stiamo legati gli uni agli altri, con le caratteristiche di ciascuno che mai devono essere sminuite, rendiamo bella la visione della Chiesa, che è nostra Madre.
Ecco, miei cari, questo è il significato del tempio che dedichiamo a Dio. Abbiate cura, parrocchiani e Parroco, che questa sia sempre la casa di tutta la comunità, la casa comune, soprattutto la casa dei poveri e dei giovani. Proprio come voleva San Giovanni Bosco, che fu padre premuroso della gioventù: Egli custodisca questo tempio e questa comunità. Amen.
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