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Omelia del vescovo Vincenzo nella Messa Crismale 2022

Oria, 14 aprile 2022 - Basilica Cattedrale

Negli ultimi due anni abbiamo vissuto questa celebrazione, che è espressione vera e concreta di unità e di comunione nella nostra Chiesa di Oria, con la preoccupazione della pandemia e con il disagio del contingentamento. Oggi, quantunque possiamo contare su una maggiore serenità circa la pandemia, tuttavia abbiamo ancora il cuore invaso dalla preoccupazione e dal dolore per la tragica situazione bellica che vede coinvolta la martoriata Ucraina. Anche in questa celebrazione vogliamo chiedere al Signore della storia di cambiare il cuore degli uomini, specialmente di chi detiene il potere, di far cessare la guerra in Ucraina e in tutti gli altri luoghi dove si combatte e di donare al mondo la pace!

Quest’anno il Signore ci ha convocati nella nostra Chiesa Cattedrale, resa più splendente e luminosa dai recenti lavori di restauro. E non possiamo non considerare il primo e fondamentale messaggio che ci viene proprio dalla caratteristica della Chiesa Cattedrale: essa è la Madre, la Chiesa Madre nella quale la comunità diocesana esprime e realizza sacramentalmente la sua unità attorno al Vangelo, all’Eucarestia e al Vescovo riunito con il suo Presbiterio. È la Chiesa nella quale vi è la Cattedra, che è “segno del magistero e dell’autorità del pastore della Chiesa particolare”, ed è anche “segno dell’unità di coloro che credono in quella fede che il Vescovo proclama” (Caeremoniale Episcoporum, n. 42). Questo richiamo che la Chiesa Cattedrale ci fa all’unità, ci invoglia a risentire quelle dolcissime parole che Gesù ha pronunciato, lasciandocele come suo testamento, nell’ultima cena, parole dalle quali vorrei partire per una necessaria riflessione sulla nostra comunione, che è il terreno sul quale si può sviluppare un vero ed efficace cammino sinodale, parole che riguardano tutti i cristiani ma che oggi sono rivolte in un modo del tutto speciale a noi Sacerdoti: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34-35).

Il Signore ci chiede di avere fra noi un affetto, una simpatia, una solidarietà, una stima reciproca, un amore che non ha paragone con nessun altro gruppo o associazione.  La testimonianza del nostro discepolato nasce proprio da questo amore reciproco che dobbiamo avere gli uni per gli altri.  E come se il Signore ci stesse dicendo che i nostri fedeli si aspettano da noi, dall’unità del nostro Presbiterio, una testimonianza chiara di amore che noi Sacerdoti dobbiamo avere fra noi prima ancora che con loro.  D’altra parte, come potremmo invitare i nostri fedeli ad amare con lo stesso amore di Gesù se non vivessimo in questo amore e di questo amore tra noi Sacerdoti?

Come Vescovo, ho il dovere di richiamare a tutti, ed in particolare a Voi Sacerdoti del mio Presbiterio, questo fondamentale invito che il Signore Gesù ci ha fatto nel momento più solenne della sua vita in terra.

E per avere la maggiore incisività ed autorevolezza nel sottolineare questa semplice e profonda raccomandazione del Signore, desidero, carissimi Confratelli Sacerdoti, chiedervi perdono se mai avessi per primo mancato a questo nuovo comandamento di Gesù, se non vi avessi dimostrato la carità, se fossi stato tiepido, se avessi mancato con alcuni di Voi proprio sul comandamento che caratterizza il discepolo di Cristo, se fossi stato incapace di amarvi, di conoscervi, di seguirvi, di santificarvi, di essere al vostro servizio. Ebbene, io ne chiedo perdono a Gesù Cristo e a Voi.

E con il vostro perdono, che sono certo mi accorderete, perché oggi, Giovedì santo, deve cadere ogni rancore, ogni risentimento, ogni triste ricordo, con il vostro perdono continuo a raccomandarvi: amatevi gli uni gli altri!

È proprio necessario che si crei una nuova, più sentita e più solida, più manifesta e più vera rete di amore tra noi Sacerdoti.

Guardiamo alla nostra personale vita con gli occhi misericordiosi di Cristo e se ci siamo isolati, pensando che posso fare da me, o abbiamo provato indifferenza, pensando che non ce ne importa degli altri, o siamo stati affacciati alla finestra per vedere gli altri senza coinvolgerci nel rinnovamento pastorale, o se abbiamo provato sufficienza, pensando di non aver bisogno di alcuno, è il momento, miei cari di liberarci di queste paralisi dell’amore. Dobbiamo sentirci ciò che il Signore ha voluto che fossimo: fratelli! Fratelli! Fratelli!

Prendiamo come motto della nostra vita sacerdotale queste parole di San Paolo: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rom 12, 10). Scambiamoci fiducia, scambiamoci stima, scambiamoci comprensione! A volte sembra che i nostri rapporti siano determinati dal ruolo che qualcuno svolge per l’ufficio che gli è stato affidato e che ricopre. Non sia l’ufficio a far cercare il fratello sacerdote e il padre vescovo, perché nella Chiesa l’autorità esiste solo per rendere il servizio agli altri, non per esigere diritti né per prevalere sugli altri. Impariamo da Gesù: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13, 14-15).

Dobbiamo essere pronti a questa fraternità sacerdotale, a questa solidarietà, perché dobbiamo dare prova che l’amore di Gesù non è spento, ma vive, fiorisce, si afferma nella nostra famiglia diocesana, tanto amata dal Signore e tanto ripiena di grazie.

Ognuno di noi oggi è invitato a ripetere nel proprio cuore ciò che Gesù ha detto nella Sinagoga di Nazareth: “Lo Spirito del Signore è sopra di me… mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio…  Oggi si è compiuta questa Scrittura” (Lc 4, 18. 20).

Lo Spirito del Signore è sopra di me” perché sono stato consacrato con il Suo Spirito per annunciare la Parola e per santificare con i sacramenti.

Il dono dello Spirito fatto a ciascuno di noi nel momento dell’ordinazione non è esclusivo, anche gli altri miei confratelli hanno ricevuto lo stesso Spirito e la stessa unzione: siamo stati resi partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo, insieme, non temporalmente ma ontologicamente. Per questo possiamo dire con maggiore verità: “Lo Spirito del Signore è sopra di noi”! Il sacerdozio che abbiamo ricevuto è uno solo. Il sacramento dell’Ordine Sacro è uno solo, perciò siamo legati da un mistero di comunione: in Cristo siamo indissolubilmente un’unica persona, nonostante le nostre ideologie, i nostri personalismi, i nostri interessi personali, le nostre presunzioni e le nostre preclusioni, i nostri preconcetti e la nostra incapacità di obbedire a questa unità sacramentale, cose tutte che tendono costantemente a dividerci. Nel nostro parlare e nel nostro agire prevalga sempre il noi e mai l’io! Nelle nostre azioni liturgiche, anche quando ci si impone l’uso del pronome personale singolare “io”, dobbiamo sempre ricordare che quell’io è l’io di Cristo e, perciò, per noi diventa pronome personale plurale: “noi”! È il nostro noi!

E Gesù, consapevole di quanto sia difficile la comunione, nell’ultima cena ha pregato per noi, perché potessimo sempre rimanere uniti tra di noi, come Lui è unito al Padre. Sapeva che il demonio avrebbe seminato tra di noi con la menzogna, il contrasto, la disistima, la divisione.

Lo Spirito del Signore è sopra di me”, ho il dono dell’unico sacerdozio di Cristo, che è dono comune, e perciò le disunioni tra noi sono il peccato più grave e la più manifesta contraddizione. L’essere in comunione è un fatto ontologico e sacramentale, prima che affettivo, perché ognuno è nell’altro grazie al vincolo sacramentale che, legandoci insieme alla persona di Cristo e al suo sacerdozio, ci lega tra noi.

Vi prego di porre attenzione a come il mondo guarda la Chiesa: sembra superflua, tollerata, molti la ritengono ingombrante e, perciò, la trattano da estranea, addirittura da nemica.

Se vogliamo che la Chiesa ritorni ad essere nel mondo ciò che deve essere, cioè strumento di salvezza, dobbiamo irrobustirla con la forza interiore della nostra coesione e con la nostra mirabile fusione di spiriti.

Nella preghiera sacerdotale, Gesù si rivolge al Padre con queste illuminanti parole: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21).

Come il Padre e il Figlio sono una cosa sola, così dobbiamo essere noi! Questa deve essere la nostra meta! Nessun’altra! Ed in questo unico modo, cioè nell’essere insieme una cosa sola, non sprechiamo energie, diventiamo credibili, riusciamo a conquistare il cuore dei nostri fedeli per portarlo a Cristo. È fatto risaputo che lì dove i Sacerdoti sono uniti ed in piena comunione, dove si vive una complementarietà disciplinata ed amica, dove non c’è maldicenza e critica, prospera la vita cristiana, nascono tante e sante vocazioni, si sperimenta serenità e pace, si vive felici!

Tertulliano ci offre la testimonianza che i primi cristiani prendevano queste parole di Gesù, “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15, 17), così sul serio che i pagani esclamavano, ammirati: “Guardate come si amano!” (Apolog. 39).

Questo è l’unico modo di essere Sacerdoti. È l’unico modo di evangelizzare. È l’unico modo di “aiutare” Dio a convertire i cuori pagani. Questo deve essere il nostro Presbiterio.

Facciamo risuonare nella nostra coscienza di Sacerdoti, come medicina, magari amara ma certamente salutare, le parole ammonitrici di Papa Francesco:

Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere. […] Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate […] Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti” (EG, 99).

E continua: “[…] Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?” (EG, 100).

Ecco, amati Fratelli Sacerdoti, permettiamo allo Spirito di Dio di ridare vigore al nostro Presbiterio; permettiamo ai nostri fedeli di sperimentare in noi, nelle nostre relazioni con tutti i confratelli sacerdoti, quell’amore che solo educa ed attrae, quell’amore che ha origine in Dio ed a Lui riporta, quell’amore che cambia il volto del mondo! Abbiate il coraggio e la gioia di chiedervi ed offrirvi il perdono reciproco e la stima vicendevole perché “Lo Spirito del Signore è sopra di noi”, non solo sopra di me!

Desidero ricordare don Mimmo Sternativo e don Pietroronzo Cinieri che festeggiano in quest’anno i primi 10 anni di ordinazione sacerdotale; don Antonio Carrozzo e don Salvatore Casella che festeggiano il giubileo sacerdotale del 25° anniversario, Don Daniele Conte e don Gregorio Mastrovito che in quest’anno festeggiano il giubileo sacerdotale del 50° anniversario, e insieme con loro, don Pietro Chirico che festeggia il 73° di ordinazione e don Vincenzo Baldari che, festeggiando il 75° anniversario, è il decano del Presbiterio.

Anche a Voi, miei cari Religiosi, Religiose e Laici, chiedo di conformarvi alla Parola di Gesù: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” e Vi invito a sostenere, con la responsabilità della preghiera e dell’affetto fraterno, la missione dei Vostri Sacerdoti e del Vostro Vescovo. Amen.

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