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Omelia nella dedicazione della nuova chiesa del Santuario di San Cosimo alla Macchia

Oria, 13 agosto 2017

“Signore salvami!” (Mt 14, 32), è il grido che San Pietro rivolge a Gesù mentre affonda nelle onde del mare, dopo che, su invito del Maestro, ha incominciato a camminare sulle acque. È l’invocazione che ogni pellegrino che giunge in questo luogo santo rivolge a Dio per l’intercessione dei Santi Martiri che in questo Santuario sono venerati ed amati: i Santi Medici. È la preghiera che ogni credente rivolge al Padre quando sperimenta e prende coscienza che non può salvarsi da sé stesso, né può essere autosufficiente: ha bisogno di un salvatore che gli doni la salvezza!
È la preghiera, carissimi Amici qui convenuti per la dedicazione di questo nuovo tempio, che oggi sentiamo di rivolgere al Signore con grande fiducia.
Vi invito, tutti insieme a dire con me: “Signore salvami”! Ripetiamolo: “Signore salvami”!
Quanto è bello sperimentale che siamo un popolo non di bisognosi di salvezza, ma di salvati, perché la salvezza ci è già stata offerta con l’unico sacrificio redentore di Cristo. In questo tempio stiamo sperimentando di essere un popolo di salvati. Qual è il motivo che ha spinto Dio a salvarci, noi che eravamo meritevoli dell’ira divina? L’amore, la misericordia di Dio per la sua creatura più bella e, al tempo stesso, più ribelle. Il nostro essere convenuti in questo luogo questa sera è indice del nostro desiderio di sentirci amati, di sperimentare l’amore vero, gratuito, di elezione, che solo Dio può darci.
E la risposta di Dio al nostro grido “Signore salvami”! è questa: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti uso ancora misericordia” (cfr. Ger).
Vorrei soffermarmi ancora un po’ sul Vangelo di questa XIX domenica del tempo ordinario per cogliere alcune altre sollecitazioni che il Signore ci offre.
Nell’episodio che abbiamo ascoltato, ci viene presentato Gesù che, dopo aver sfamato la folla con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ha il desiderio e la necessità di ritirarsi da solo sul monte a pregare tutta la notte. Perché Gesù non sfrutta questa occasione di notorietà per diventare leader della folla? Perché anch’Egli ha fame, ma dell’intimità con il Padre, dello stare cuore a cuore con Dio. È questa, miei cari, la più grande realizzazione dell’uomo: vivere in intimità con il Padre, e tutto deve passare in second’ordine di fronte a questa esigenza profonda del nostro spirito.
Questo luogo sacro, che stiamo dedicando al Signore, ha proprio questa finalità: essere una sorta di monte sul quale ritirarsi per intessere dialoghi d’amore con il Padre dell’umanità. Qui dobbiamo venire per stare con il Signore, qui dobbiamo chiedere salvezza, qui sperimentare che Dio ci ascolta.
Dal Vangelo scopriamo che Pietro ha camminato sulle acque. Ma poi, per la paura del vento e delle onde, ha cominciato ad affondare. E pensare che Gesù si era presentato, camminando Egli per primo sulle acque, proprio con queste parole: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Da Pietro impariamo che è la paura che ci fa affondare: fintantoché ha posto il suo sguardo su Gesù, non ha avuto paura e ha camminato sulle acque. Ma quando ha distolto il suo sguardo dal Maestro, allora ha iniziato ad avere paura e ad affondare.
In questo santo luogo dobbiamo imparare sempre più e sempre meglio a tenere i nostri occhi rivolti a Gesù, ad avere lo sguardo fisso su di Lui, perché questo ci fa vincere la paura e ci mantiene a galla. Lo sguardo fisso su Gesù, senza paure e senza titubanze, con fede forte, con speranza certa. Lo sguardo su Gesù anche quando le onde del mare della nostra vita sembra che ci vogliano sopraffare. Lo sguardo su Gesù anche quando la sofferenza, le incomprensioni, le malelingue, la coscienza del nostro peccato ci spingono a guardare altrove. Lo sguardo su Gesù, sempre! Lo splendido Crocifisso che qui è posto, copia fedele di quello di San Damiano che parlò a San Francesco ad Assisi chiedendogli di andare a riparare la Sua Chiesa, opera realizzata dalla Monache Clarisse di Manduria, ci aiuterà in questo impegno di comunione con Gesù. Fissiamo il Suo sguardo e scopriremo la bellezza e la dolcezza del Suo volto, e sentiremo rivolti a noi i sentimenti di compassione e di tenerezza che il Cristo morente ci rivolge. Quest’opera non è solo un’opera artistica ma soprattutto scaturisce da tanta preghiera che nel Monastero si continua a vivere. Sentiamoci attratti da questa preghiera per fissare il nostro sguardo su Gesù e percepiremo forte la sensazione che la paura passa e l’amore cresce. E questa è la vita beata che vivremo sempre in Paradiso.
Ve lo ripeto ancora, Amici miei, riprendendo un’ultima immagine del Vangelo. Gesù viene incontro a noi camminando sul male, rappresentato dalle acque del mare, per attirarci a Sé e farci vincere, con le paure, il male che ci vuole affogare. Nostra unica condizione: la fiducia totale in Lui e lo sguardo fisso ai Suoi occhi!
Vorrei ora richiamare alcuni elementi architettonici e liturgici di questo tempio. Arrivando, con il nostro pellegrinaggio, in questo luogo santo, il cui centro comunque rimane il Santuario antico, siamo accolti dalla grande vetrata, anch’essa opera delle Clarisse, che riporta il popolo santo e bisognoso di salvezza che chiede l’intercessione dei Santi Medici. I Santi Martiri, poi, indicano l’Unico che può soddisfare le richieste: la SS.ma Trinità, principio primo da cui scaturiamo e termine ultimo verso il quale camminiamo. E la Ss.ma Trinità, sia nei secoli benedetta, risponde con la grazia rappresentata dai raggi che da Essa promanano. In questa immagine è riportato un articolo del nostro Simbolo della fede: “Credo la comunione dei Santi”. Noi crediamo per fede che i Santi ci portano a Dio, e sono una via sicura.
Ogni pellegrino che giunge in questo luogo santo può fare questa esperienza d’intercessione: attraverso la preghiera ai Santi giungiamo a Dio e da Lui riceviamo la grazia dell’essere amati! Il pellegrino che volge lo sguardo dall’altro lato della facciata, vede la rappresentazione di San Giovanni Paolo II che ancora annuncia: “Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! … Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!” (Omelia d’inizio pontificato, n. 5, 22 ottobre 1978). E questo tempio è a lui dedicato perché interceda per tutti una fede limpida, una speranza fondata e un amore costante. Nel frontino dell’altare è incastonata e visibile a tutti la reliquia del Santo Papa.
L’ingresso in questa aula sacra è consentito da numerose porte: è un chiaro ricordo che chiunque può avere accesso a Cristo e alla salvezza; è sufficiente che trovi la “sua porta”.
Le volte in legno richiamano le antiche cripte: oltre che un elemento di bellezza architettonica, è anche un richiamo all’interiorità. Infatti, come la cripta è il luogo più raccolto, centrale delle antiche basiliche, così chi viene qui per pregare deve ricordarsi che la preghiera vera sgorga dall’intimo del cuore ed ha bisogno di raccoglimento.
Il fonte battesimale, di forma ottagonale, ricorda l’ottavo giorno, il giorno della Resurrezione di Cristo, il giorno della nuova creazione: ogni battezzato nel fonte rinasce a vita nuova e diviene figlio della resurrezione. Sarà arricchito con l’immagine di Maria che, per mandato del Signore, è Madre dei redenti, dei battezzati. L’icona che verrà posta accanto al fonte ricorda che Maria sovrintende alla nascita dei nuovi figli di Dio e figli Suoi.
Il pulpito, il luogo della Parola, illuminato dal cero pasquale, simbolo della fede sempre viva, ci ricorda che solo la Parola accolta con fede porta frutto. E la Parola discende dal cielo sul popolo in attesa e, come la rugiada che discende dal cielo, porta refrigerio e fecondità.
L’altare è composta dalla mensa quadrata con, sul fronte, incastonata la reliquia di San Giovanni Paolo II, a cui questo tempio è dedicato: questo permetterà a tutti i fedeli di venerare il Santo Papa. La mensa è sorretta da una colonna tortile centrale che è come la fusione di tre colonne tortili: è il richiamo all’Unità della divinità e alla Trinità delle Persone del nostro Dio, che tutto crea e sostiene. Egli, benedetto nei secoli, che è l’origine e il termine della nostra esistenza, si rivela al mondo attraverso l’incarnazione del Verbo, di cui la mensa è il richiamo. Tale rivelazione si diffonde nei quattro punti cardinali, richiamando così l’universalità della salvezza ottenutaci da Gesù Cristo. Le quattro colonne tortili, che reggono la mensa, sono il richiamo ai quattro punti cardinali.
La sede della presidenza ricorda la grandezza di chi presiede la celebrazione eucaristica: nella povertà della persona del ministro, chiamato a presiedere, è velata la magnificenza di Cristo. È Lui che presiede ogni celebrazione e l’azione del ministro è sempre in persona Christi.
Ecco, miei amati fratelli e sorelle, questo è il mistero del nuovo tempio che oggi dedichiamo. Possa essere per la Città di Oria, per la Diocesi di Oria, per tutto il Salento e per tutti i pellegrini che qui vi giungeranno, luogo privilegiato dell’incontro con Dio e permetta a chiunque di ripartire con l’animo pacificato. Amen.

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