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Omelia nella Messa Crismale 2014

Oria, 17 aprile 2014 - Basilica Cattedrale

Miei cari fratelli Sacerdoti e figli,

come ben sapete, la divina liturgia mattutina del Giovedì Santo prende il nome direttamente da Cristo, e il segno dell’olio, che in questa celebrazione ha un posto del tutto rilevante, è in strettissimo rapporto con il mistero di Cristo, l’Unto che “Dio consacrò [ha unto] in Spirito Santo” (Atti 10, 38).

Nella nostra cultura mediterranea il frutto dell’olivo, oltre che essere alimento fondamentale, e quindi datore di vita, è stato anche medicina che ridonava al corpo forza, ristoro e pace, dandogli bellezza e gioia di vivere. È stato così facile accostarlo, come figura e segno, a Dio stesso, perché solo in Lui sappiamo esserci la potenza di vita.

Nell’esperienza terrena di Gesù, la forza vitale di Dio si è manifestata soprattutto nell’evento della Resurrezione, quando, con la potenza del Suo Spirito, il Padre gli ha permesso di sconfiggere definitivamente la morte. E così lo ha unto con la forza divina e vitale che procede dal Padre e dal Figlio, ed è lo Spirito Santo.

Nello sforzo di comprendere questo intreccio di segni, scopriamo il significato nuovo che l’olio ha acquisito nei sacramenti, un significato che richiama e, al tempo stesso, eleva i vari stati della vita umana.

Con l’olio dei Catecumeni, prima del Battesimo, il battezzando viene unto perché il suo corpo, come quello degli atleti nelle lotte dell’antichità, resti morbido, elastico, pieno di vigore e, al tempo stesso, difficile alla presa  dell’avversario. E l’unzione con quest’Olio ci dice che con il Battesimo non si entra nella vita per un cammino facile, spianato, senza ostacoli, ma piuttosto si entra in una battaglia contro le forze dell’odio, dell’invidia e della disperazione, sapendo di contare sul sostegno di Gesù che, Unto come noi e prima di noi, ha già sconfitto il nemico e ci aggrega alla Sua vittoria.

Quando l’olio degli Infermi viene posto sulla fronte e sulle mani della persona che soffre, è segno della vera medicina di Dio, Cristo Signore, che entra “nello spazio della nostra sofferenza, delle nostre paure e nelle nostre necessità” (I.R.), dandoci la certezza che nelle mani di Dio noi abbiamo una protezione efficace e perenne.

L’unzione con il santo Crisma nel Battesimo, nella Confermazione e nell’Ordinazione Sacerdotale ed Episcopale, realizza in noi ciò che annunzia San Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi “Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo”(2Cor 2, 15), il che vuol dire che, con questa unzione, noi opponiamo la nuova forza della vita di Cristo a tutto ciò che decompone ed annienta la vita; opponiamo “alla muffa della disperazione e dell’odio il profumo della vera vita, della fiducia nell’amore indistruttibile, della consapevolezza di essere custoditi dalla potenza dello Spirito di Dio” (I.R.); in una parola “disinfettiamo il  mondo”.

La liturgia del Giovedì Santo ci permette di consacrare questi Olii nella nostra Cattedrale, cosicché, da quest’unico centro, di fronte a questo altare che è segno di Cristo Gesù Sacerdote e Vittima per il sacrificio, centro dell’universo e della vita di ogni discepolo, si irradi in tutta la nostra Chiesa di Oria la grazia dei Sacramenti che saranno celebrati nelle diverse comunità parrocchiali.

E noi Sacerdoti, chiamati a offrire sacramentalmente questi santi Olii, diventiamo così “servitori della vita”, di quella vita che fluisce da Dio attraverso questo segno antico e significativo dell’olio.

Proprio perché chiamati a portare in tutta la Chiesa questi Olii, oggi la Sposa di Cristo ci chiede di rinnovare le nostre promesse sacerdotali: ogni Giovedì Santo noi ritorniamo a questo centro da cui proviene tutta la nostra forza e la nostra missione, per ripartire, ancora una volta, dal Signore, “affinché l’Olio che dà la vita vinca ancora l’aridità della quotidianità e renda viva in noi la gioia della vittoria di Cristo” (I.R.).

Desidero, ora, soffermarmi brevemente sulla prima lettura di questa Eucarestia (Is 61, 1-3a. 6a. 8b-9) per permettere a Voi, cari Confratelli nel Sacerdozio, e a me di gustare la nostra condizione, il nostro stato, il dono della consacrazione sacerdotale che abbiamo ricevuto. E voi, cari Fratelli e Sorelle Laici, lodate e ringraziate Dio con noi e per noi, per le meraviglie che Egli compie.

L’oracolo di Isaia, riferito al Servo di Jawhè e attualizzato nella persona e nella missione di Gesù, come ci riferisce il Vangelo di Luca proclamato poc’anzi (Lc 4, 16 ss.), ci permette di accogliere questa Parola come riferita anche a noi e alla nostra missione, poiché partecipiamo dell’unico Sacerdozio di Cristo, e di ripeterla e pregarla, cogliendo tutta la sua gravità e bellezza:

“Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione”: non siamo soli nel nostro agire da pastori, è lo Spirito che ci protegge e ci guida. E’ lo Spirito che, come la nube luminosa dell’Esodo, illumina i nostri passi. Siamone certi, cari Confratelli! E siatene certi anche Voi, cari Fedeli Laici! Siamo stati unti e quest’unzione è indelebile. È divenuta, perciò, segno di guida e protezione, ma anche di responsabilità.

Vorrei consolarvi, cari Sacerdoti, e invitarvi a ripensare quotidianamente a questa nostra trasformazione ontologica, soprattutto quando la preoccupazione per il ministero, anche a motivo dei nostri limiti umani, e lo sconforto per il male che è attorno a noi e dentro di noi, sembrano avere il sopravvento: in quelle ore buie, riportiamo alla nostra memoria che siamo unti dallo Spirito del Signore che è su di noi e non ci abbandona mai, anche se noi dovessimo abbandonarLo.

Continua Isaia:

“Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto”.

La nostra missione, proprio perché è la stessa missione di Gesù, non è del genere apocalittico; la nostra missione, oggi più che mai, è missione di consolazione, di misericordia, di tenerezza. È missione di condivisione o, per meglio dire, è missione con lo stile della condivisione, vivendo come pastori che condividono il pascolo con il proprio gregge, maestri e discepoli insieme, anzi tanto più maestri quanto più discepoli.

E Isaia aggiunge:

 “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un’alleanza eterna”.

Siamo stati costituiti Sacerdoti, ma non di noi stessi, ministri del nostro Dio. È bello sapere di non appartenersi, di essere proprietà del Signore. Questo potrebbe sembrare un limite alla nostra libertà. In verità la nostra libertà è proprio questa: non apparteniamo a nessuno, né a noi né agli altri, a nessun altro, ma solo a Dio e da Lui riceveremo il salario; e solo a Lui potremo richiederlo: e il Suo salario è l’alleanza eterna con noi! Dio è nostro alleato perché Gli apparteniamo, ed è nostro alleato finché Gli apparteniamo.

E, infine, conclude Isaia:

“Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, la loro discendenza in mezzo ai popoli. Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore”.

 La nostra grandezza, la nostra fama, il nostro essere riconosciuti, cari Sacerdoti, non è per quello che facciamo, per la grandezza delle nostre opere, per il potere e l’autorità che esercitiamo, ma perché siamo “stirpe benedetta dal Signore”. Com’è bello sentirsi dire: “Quel Sacerdote è proprio bravo, è veramente un uomo di Dio, è un Suo amico”.

Cari Confratelli, siamo consapevoli che il Signore, che ci ha fatto questa promessa, intende realizzarla. Rinnoviamo, perciò, in uno slancio orante le nostre promesse sacerdotali.

E prego Voi tutti, miei cari qui convenuti, che oggi rappresentate tutta la nostra Chiesa diocesana, di sostenerci e confortarci con la vostra preghiera perché il Signore conceda a noi di essere per voi ciò che Egli ha promesso di donarci.

“A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (Ap 1, 5-6).

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