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Omelia nella Veglia Pasquale 2013

Oria, 30 marzo 2013 - Basilica Cattedrale

Miei carissimi Amici,

         vorrei porvi una domanda che potrebbe risultare retorica se non fosse essenziale per la comprensione del mistero che stiamo vivendo. E la domanda è questa: perché in questa notte siamo venuti nella nostra Cattedrale? Che cosa ci ha spinto? Che cosa ci ha attratto? Che cosa cerchiamo?

         Non vi chiedo di rispondere. Proverò io a indicarvi alcune piste perché possiate da voi darvi una risposta.

         Innanzitutto non siamo venuti da noi stessi, ma è stata la Madre Chiesa che ci ha chiamato per rivivere in questa veglia orante la Pasqua del Signore per essere da Lui confermati nella speranza di partecipare alla sua vittoria sulla morte e di vivere con Lui in Dio Padre.

         Dobbiamo riconoscere che in questa chiamata della Chiesa c’è il nostro desiderio più profondo, la nostra speranza più radicale: quella di sconfiggere la morte e la paura che il suo pensiero ci incute.

Allora fermiamoci a considerare i segni che, ad una lettura superficiale, potrebbero sembrare incomprensibili. La Chiesa, attraverso la simbologia della liturgia di questa santa Notte, ci prende per mano e ci accompagna verso la nostra ambita meta.

Il primo segno che abbiamo avuto dinanzi è il cero pasquale, simbolo della nuova luce. E’ il segno di Cristo risorto che illumina ogni uomo che si pone alla sua luce, ed è stato acceso da un fuoco nuovo, appositamente benedetto, perché sia come la colonna di fuoco dell’Esodo che illuminava il popolo d’Israele nel cammino verso la libertà della terra promessa ed era, allo stesso tempo, barriera protettiva di quei pellegrini della fede dall’incursione dell’esercito egiziano.

Il cero, poi, è stato posto accanto al libro delle Scritture, perché queste possano essere illuminate dalla luce di Cristo e così dare a noi, che le ascoltiamo, la conoscenza del grande progetto di Dio sull’umanità.

Da tutto questo primo rituale scaturisce un’indicazione per noi: abbiamo bisogno di ascoltare e di comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la sacra Scrittura, per poter essere come le donne del Vangelo all’annuncio degli angeli della resurrezione, “Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri” (Lc 24, 8-9). Dobbiamo conoscere cosa pensa Dio dell’uomo, in quale conto lo tiene, cosa fa per lui. Molto spesso sentiamo Dio lontano dalla nostra esistenza proprio perché non sappiamo ciò che pensa di noi. Con la luce di Cristo, di cui il cero pasquale è simbolo, possiamo essere istruiti sul pensiero di Dio. San Paolo dirà nella Prima lettera ai Corinti: “Noi abbiamo il pensiero di Cristo” (2, 16).

E così il cero illumina la Parola che abbiamo ascoltato, permettendoci di interpretarla.

Sin dalle origini Dio ha visto che la creazione dell’uomo “era cosa molto buona” (Gen 1, 31). Ed è così, miei cari, noi siamo il gioiello della creazione di Dio, non per nostro merito, ma per virtù di Chi ci ha voluti. Dio pensa a noi come a una cosa molto buona. Questo ci apre alla speranza, infonde in noi un sano ottimismo. E non dobbiamo mai perderlo questo ottimismo, perché è la molla della vita: se siamo una cosa buona per Dio, allora certamente Egli non ci abbandonerà.

Ed avviene proprio così, anche dopo che l’uomo si è ribellato a Dio, volendo mettersi al Suo posto. Dio non ci abbandona al nostro male, ma chiama un uomo, Abramo, che la liturgia chiama nostro padre nella fede, a lasciare la sua terra perché intende condurlo nella terra promessa; intende dargli un luogo “dove scorre latte e miele” e dove Abramo, che non ha discendenza, avrà figli quanto le stelle del cielo e la sabbia sulla spiaggia del mare. E Abramo obbedisce, anche quando Dio lo mette alla prova nel chiedergli il figlio della promessa, Isacco, da cui dovrà partire la sua numerosissima discendenza. Così Abramo diventa l’immagine di Dio Padre che dona il figlio, con la differenza che ad Abramo il figlio fu risparmiato, Dio Padre, invece, ha consegnato il Suo Figlio alla morte in sostituzione degli uomini che, disobbedendo a Lui, avevano meritato la morte.

E che l’uomo sia una cosa buona per Dio lo prova anche il fatto che Egli ha chiamato Mosè, l’amico di Dio, a riportare nella terra promessa il popolo schiavo d’Egitto.

Il passaggio del mar Rosso è l’emblema della liberazione che Dio vuol donare al Suo popolo: la liberazione dalla schiavitù per Israele, dal peccato per ogni uomo. Le acque del mar Rosso simboleggiano, così, le acque del Battesimo, il quale liberandoci dal male antico, ci rende figli adottivi di Dio. Come avverrà tra poco anche per questa bambina.

E siamo liberati dalla schiavitù del peccato per vivere da uomini liberi, per restare liberi. E’ illusorio pensare che quando cediamo al peccato, poi siamo in grado di gestire la nostra vita come se niente fosse. Il peccato ci fa tornare schiavi di lui, prima con l’attrazione poi con il rimorso e, infine, con la perdita della fiducia in Chi ci può liberare.

Con il profeta Isaia Dio, che considera l’uomo sempre “cosa molto buona”, invita a tornare al Signore che desidera donare la Sua misericordia, tanto da perdonare largamente.

E il profeta Baruc ci fa gioire perché conosciamo ciò che piace a Dio, e con il cuore nuovo, non più di pietra, come si esprime Ezechiele, ma di carne, cioè capace di sentimento, potremo vivere secondo la legge di Dio (cfr. Ez 36).

E finalmente San Paolo ci svela il nostro stato: battezzati in Cristo Gesù, siamo uniti alla sua morte e, quindi, anche alla sua resurrezione. Siamo morti al peccato e viventi per Dio in Cristo Gesù (Rom 6, 11).

Tra poco saremo chiamati a rinnovare le nostre promesse battesimali, la nostra definitiva adesione al progetto di Dio.

Quelle sei parole che saremo chiamati a pronunciare, tre volte “rinuncio” e tre volte “credo”, sono la nostra dichiarazione d’amore a Dio, che per primo ci ha amati.

Se la nostra professione di fede parte da un cuore che vuole davvero ciò che le nostre labbra dicono, allora è Pasqua, allora siamo passati dalla morte alla vita. Non siamo qui per ricordare la Resurrezione di Gesù. Il ricordo può avvenire ovunque: siamo qui per risorgere con Lui, per prendere parte alla Sua Resurrezione, per uscire da questa Cattedrale come persone nuove, persone vive, come risorti. Siamo qui per sperimentare che la nostra vita, pur con tutte le sue contraddizioni, non è grigia, non è insoddisfacente. Siamo qui per sperimentare che Dio ancora oggi pensa di noi che siamo “cosa molto buona”, non solo “buona”, ma “molto buona”.

E per continuare ad essere “cosa molto buona”, Gesù ci unisce a Sé con il dono del Suo Corpo. L’Eucarestia che mangeremo è la Sua vita che vive in noi. Comprendete quanto Dio ci ama? E questa considerazione non ci fa gioire? Se Dio ci ama e ci unisce a Sé è Pasqua!

Ognuno di noi può dire in tutta verità: “Cristo, mia speranza, è risorto” (Sequenza pasquale), ed io con Lui! Alleluia! Alleluia!

E’ il mio augurio per voi. Alleluia!

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