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Omelia del vescovo Vincenzo nell'Ordinazione Diaconale di Cosimo Taurisano

Francavilla Fontana, 23 gennaio 2025 - Basilica Ss. Rosario

Potrebbe sembrare contraddittorio trovarsi in una celebrazione, preparata e vissuta con grande solennità, il cui fine, però, è quello di rendere una persona “servo”; essere ordinato “diacono”, infatti, vuol dire diventare servo, servitore.

Il tempo in cui viviamo è caratterizzato, ormai da tantissimi decenni, da un impegno costante a far scomparire ciò che richiama il concetto del servizio, scambiandolo con ciò che è servile, come il lavoro servile, perché si è sviluppata una convinzione che il servire sia la manifestazione del dominio dell’uomo sull’uomo, tale da spogliare colui che serve della dignità, della libertà e dell’uguaglianza che tutti reclamano come condizioni imprescindibili di umanità.

Ciò che la storia ci ha consegnato di negativo, cioè gli abusi di potere, le ingiuste discriminazioni tra gli uomini, il misconoscimento della dignità che Dio Creatore ha impresso nell’intimo di ogni persona, non sono, però, la chiave giusta per comprendere il vero significato del “servire”, tanto più che la natura umana è fatta in modo tale che ognuno ha bisogno dell’altro, ognuno può vivere solo in dipendenza dell’altro e, quindi, in reciproco aiuto. E proprio questa consapevolezza del reciproco aiuto che ci porta a capire che non possiamo esistere senza servire.

Ma questa celebrazione, proprio per la sua sobria solennità, ci invita a spostare il nostro sguardo su Gesù Cristo, che per noi e per tutta l’umanità si è fatto diacono, servo. Le sue parole rivelano il suo sentimento e la sua volontà di salvezza quando ha assunto la nostra carne mortale: “Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28). E se scorriamo le pagine del Vangelo scopriamo come il Maestro e il Signore serva a tavola i suoi discepoli, lavi loro i piedi, trasformi il mondo con il servizio. Da Lui dobbiamo apprendere il coraggio di vivere liberamente come servi, come diaconi.

Tale caratteristica, che è stata sempre presente nel nostro Maestro e modello di vita, una volta ricevuta non può mai essere dismessa perché la diaconia è la dimensione di ogni ministero ecclesiale. Un sacerdote che non sia sempre diacono non esercita nel modo giusto il suo ministero sacerdotale; come anche il vescovo e perfino il Papa. E così ogni ministro.

Anche oggi Gesù Cristo è nostro diacono: la realtà più eloquente in cui Egli esercita la diaconia è nell’Eucarestia. Sino alla fine dei tempi Egli si fa nostro servo per donarci lo Spirito ed unirci al Padre attraverso il sublime sacramento eucaristico.

Si, Gesù è e rimane il Diacono della Chiesa e dell’umanità! E chiunque è chiamato a servire nella Chiesa non può prescindere da questo modello e non deve farsi ingannare dallo spirito del mondo nel credere che il servire è perdere la propria dignità e la propria libertà.

Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20, 26-27).

Caro Cosimo, questa è la parola che oggi il diacono Gesù ti consegna come regola di vita: imparala a memoria, ripetila in continuazione, sia la tua abituale preghiera del cuore perché lo Spirito che essa infonde trasformi e modelli costantemente la tua vita in quella di un servo non “di Gesù Cristo” ma “come Gesù Cristo”: servo, diacono dei tuoi fratelli e delle tue sorelle come Gesù Cristo!

Dopo averti imposto le mani sul capo, come segno della trasmissione dello Spirito diaconale di Cristo che ti accompagnerà sempre nella tua vita ministeriale, rivolgerò al Padre, tra le altre, queste parole che sono costitutive del tuo ministero:

Ti supplichiamo, o Signore,

effondi in lui lo Spirito Santo,

che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia,

perché compia fedelmente l'opera del ministero.

Sia pieno di ogni virtù:

sincero nella carità,

premuroso verso i poveri e i deboli,

umile nel suo servizio,

retto e puro di cuore,

vigilante e fedele nello spirito.

 L’esempio della sua vita, generosa e casta,

sia un richiamo costante al Vangelo

e susciti imitatori nel tuo popolo santo.

 [...]”.

Ecco delineato il programma del tuo servizio diaconale che, come ho detto prima, non termina quando, se Dio vorrà, diventerai Sacerdote, ma dovrai viverlo per sempre.

Innanzitutto “sincero nella carità. Cosa vuol dire questa invocazione? Che nella tua coscienza, nella quale abiti solo con Dio, dovrai amare sinceramente tutti coloro che dovranno essere da te serviti. Non dovrai sceglierti chi servire e poi amarlo. Dovrai amare sinceramente coloro che ti si presenteranno per essere serviti. In altre parole, da oggi in poi dovrai bandire dalla tua vita l’uso delle maschere: il tuo volto dovrà essere riflesso della tua coscienza nella quale ti sforzerai di amare tutti.

Premuroso verso i poveri e i deboli”. Avere cura degli ultimi significa avere cura di Gesù, presente negli ultimi, secondo la Sua parola (cfr. Mt 25). La tua premura ti porterà ad essere accogliente, delicato, attento. So che hai già queste qualità, ma come ogni buon dono di Dio, devono crescere ed irrobustirsi. Ecco perché le chiedo per te al Padre!

Umile nel suo servizio”. Poni particolare attenzione a questa invocazione perché può succedere che, cedendo alla tentazione, tu possa essere un servo arrogante, prepotente, saccente. Ricorda le parole di Gesù nella parabola (Mt 24, 45ss.) del servo messo a capo della servitù che non si aspetta il ritorno del padrone: “lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti” (Mt 24, 51). Il servizio umile rende il tuo cuore docile e obbediente e coloro che servirai si sentiranno rispettati ed amati. Mi piace offrirti il motto di San Giovanni XXIII: “Oboedentia et pax”. Vivi queste virtù sempre con grande gioia.

Retto e puro di cuore”. Caro Cosimo, sii servitore della verità e nella verità. La rettitudine e la purezza del tuo cuore saranno come le direttrici tra le quali potrai non solo camminare speditamente ma correre con sicurezza per portare il Vangelo ad ogni persona. Il cuore si mantiene puro quando in esso abita Cristo e risuona continuamente la Sua parola. La scelta del celibato, che sei chiamato a fare, non sappia di costrizione o di rinuncia, ma vivila come scelta di libertà per avere la prontezza e l’entusiasmo di offrire a tutti e a ciascuno, per tutto il tempo della tua vita, cibo di Vangelo.

Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù” (2Cor 4, 5), ci ha detto San Paolo. Se annunciassi te stesso, potresti preventivare i rischi ed eliminarli dal tuo percorso. Ma annuncerai Gesù e quindi sarai esposto: ecco perché devi essere “vigilante e fedele nello spirito”. Ricorda che la vigilanza è caratteristica della sentinella e tu sarai costituito “sentinella del Vangelo”. E la fedeltà nello spirito è il credito aperto con Dio: se sei fedele sarai un richiamo costante al Vangelo e susciterai imitatori nel servizio.

Il compito principale del diacono è quello di annunciare il Vangelo a tutti i livelli e in tutte le forme. Quindi sarai annunciatore! Dovrai porgere agli uomini il pane della Parola, il pane che dà il senso alla vita non meno di quanto lo dia il pane terreno. Ogni diacono è annunciatore: ma può annunciare solo quello che ha ascoltato, - se lo ha ascoltato! Mio caro Ordinando, tu potrai trasmettere il Vangelo, per questo particolare tempo che viviamo, in modo vivo e vitale solo se tu stesso sei in ascolto del Vangelo. Nella misura in cui ascolti interiormente, potrai essere messaggero, potrai trasmettere la voce di Dio.

Non presumere mai di essere al sicuro perché per quanto tu sia portatore di un tesoro inestimabile, lo devi, però, custodire in vasi di creta, quindi sempre fragili, a rischio di rompersi e far perdere il prezioso contenuto. Questi vasi sono la nostra umanità di servitori, fragile, ferita ma amata da Dio. E proprio questa fragilità farà apparire la straordinaria potenza della Parola che viene da Dio e non da noi. Non preoccuparti del tuo futuro, se sarai un bravo ministro, se avrai seguito; vivi nella fiducia di Chi ti ha voluto e ti conosce come sei: fragile e amato!

Con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo” (2Tm 1, 8). L’esortazione di Paolo a Timoteo ci fa comprendere che non è possibile tenere distinto il ministero dalla propria persona. Non è un lavoro per mantenersi quello che sei chiamato a fare, un lavoro che, scaduto il tempo, può essere tralasciato per tornare alla vita privata, quasi smettendo la tuta da lavoro. È un impegno che ti coinvolge in ciò che hai di più personale, che reclama te stesso, che esige da te proprio la disponibilità ad assumere nel più profondo di te questo Vangelo e il suo servizio, riconoscendo che vale la pena di soffrire per esso. Solo chi ha accettato in prima persona la sofferenza può comprendere anche la sofferenza altrui, può veramente consolare e guarire.

Un modo concreto per proteggere la fragilità della nostra umanità è custodire ed alimentare lo spirito di orazione. Sei chiamato, caro Cosimo, a promettere il tuo fedele quotidiano impegno nella preghiera liturgica, comunitaria e personale. Com’è bello se tu lo vivi con assoluta fedeltà e non come un obbligo canonico ma come colui che, - per usare un’immagine - vivendo nel traffico automobilistico e respirando aria inquinata, può finalmente, nella preghiera, riempirsi di ossigeno puro. Ti chiedo, ti imploro di diventare come San Francesco, del quale si dice non che pregava ma era un uomo divenuto preghiera! Sii un diacono che prega, sempre!

Sento il desiderio di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di te: in particolare i tuoi Genitori, i tuoi Parroci e i Sacerdoti che ti hanno guidato, il Rettore e gli altri Superiori del Seminario di Bergamo.

Veglino su di te la beata Vergine Maria della Fontana, i Ss. Medici Cosma e Damiano, San Barsanofio, San Giovanni XXIII, San Giovanni Bosco e il beato Bartolo Longo. Amen.

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