Omelia nell'Ordinazione Presbiterale di don Pompeo delli Santi, don Martino Gioia e don Giuseppe Leporale
Oria, 21 dicembre 2013 - Basilica Cattedrale
“Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio […], a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!” (Rom 1, 1. 7).
In questo indirizzo, che l’Apostolo Paolo fa della sua lettera ai cristiani di Roma, è indicata l’origine di questa stessa nostra solenne celebrazione eucaristica. Paolo si definisce “apostolo per chiamata” e “scelto per annunciare il vangelo di Dio”. Ed è proprio ciò che è avvenuto qualche istante fa, quando dopo la necessaria presa di consapevolezza della vostra formazione, carissimi don Pompeo, don Martino e don Giuseppe, la Chiesa, nella persona e nel ministero del Vescovo, vi ha scelti per essere ordinati Presbiteri, vi ha scelti per annunciare il vangelo di Dio.
E’ necessario aver chiaro, miei cari, che non siete voi ad aver scelto di andare ad annunciare il vangelo, ma è solo un immenso dono della grazia di Dio, che fra tanti, ha posto il Suo sguardo su di voi e vi ha chiamati. Siatene riconoscenti! Per sempre! La consapevolezza di questo vi permetterà di vivere con umiltà il ministero in cui sarete tra poco introdotti. Infatti, se foste voi ad aver scelto la via della totale dedizione della vostra vita all’annuncio del vangelo, potreste pretendere una ricompensa diversa da quella che il Signore vi garantisce, e cioè la libertà di annunciare la Sua Parola di salvezza: “Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo” (1Cor 9, 18), dice San Paolo.
E siete inviati ad annunciare il vangelo a tutti coloro che sono “amati da Dio e santi per chiamata”. C’è una duplice relazione nella chiamata: siete chiamati per annunciare il vangelo a coloro che sono chiamati alla santità. Questo è il progetto di Dio: scegliere qualcuno tra i fratelli di fede perché annunci il vangelo a coloro che Lui Stesso ha chiamato alla santità!
Miei cari Ordinandi, allo sguardo di Dio sulla vostra vita e alla scelta che Egli ha fatto di voi, avete iniziato liberamente a rispondere di “si”. E dico avete iniziato, perché per tutta la vostra esistenza siete chiamati a ripetere e rinnovare il si di questa sera. Il modello a cui ispirarvi per la vostra continua risposta all’appello di Dio ci è riportato nel vangelo di questa quarta domenica di Avvento: è San Giuseppe. Uomo giusto, cioè obbediente nel fare la volontà di Dio, nel corso della sua vita ha più volte dovuto cambiare programma perché Dio gli chiedeva altro. E le richieste di Dio non erano semplici; comportavano una grande responsabilità ed una conversione ad “U” nella sua vita. Giuseppe ha sempre fatto come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Ora, anch’io, con l’autorità di successore degli Apostoli, dico a voi: “Andate ad annunciare il vangelo a coloro che Dio ama e chiama alla santità!”. E non dovete andare da coloro che già sono nel recinto della Chiesa, che già sono disposti ad ascoltare la voce di Dio attraverso la vostra parola. Dovete andare da coloro che non cercano Dio, ma sono cercati da Dio! Dovete andare da coloro che hanno perso la gioia del sentirsi figli amati dal Padre, ma che Dio ama in modo straordinario, tanto da scrutare quell’orizzonte nel quale vi invia per vedere se il figlio ritorna! Dovete uscire dalla Chiesa per invitare i chiamati ad entrare non solo nella Chiesa, ma attraverso di essa, nel cuore di Dio.
“Non temere” dice l’angelo a Giuseppe. E lo dice pure a voi: “Non temete!”. Non temete di assecondare lo slancio missionario che lo Spirito Santo metterà dentro di voi. Nella misura in cui saprete perdervi per gli altri, vi salverete e salverete coloro che vi saranno affidati. Fate vostra la logica del seme posto nella terra: se muore dà la vita e porta frutto, altrimenti rimane solo! Dovete morire di annuncio del vangelo!
Scrive Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium: “Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante” (n. 81).
Non vi accada mai questo, miei cari! Mai!
Il vostro tempo, tutto il vostro tempo, da oggi in poi, è tempo per l’annuncio del vangelo. Il vostro orologio sia senza lancette: 24 ore per il vangelo!
Nella storia dell’Ordine domenicano, si dice di san Domenico di Guzman che “Era assai parco di parole e, se apriva la bocca, era o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio. Questa era la norma che seguiva e questa pure raccomandava ai fratelli”.
Ecco una buona regola di vita, miei cari Ordinandi! Siate parchi di parole: le troppe parole inducono alla chiacchiera, alla critica distruttiva, al pessimismo. E tutto questo non edifica alcuno: né chi ascolta queste parole, né chi le pronuncia! Piuttosto, impoveriscono l’animo e inaridiscono la coscienza. Il vostro sia sempre un parlare con parole di Dio, con il vangelo. Avrete grande soddisfazione, anche in situazioni avverse, se saprete parlare sempre di Dio, se sulle vostre labbra si troverà la Sua Parola. E per fare questo è necessario parlare molto con Dio nella preghiera. Vi impegnerete, tra poco, a fare della vostra vita un’implorazione continua della misericordia di Dio per il popolo a voi affidato attraverso la preghiera assidua. Lo stile della vostra vita di preghiera non sia quello della formalità esteriore, della recita di formule. Siate, invece, figli che si lanciano nelle braccia del Padre, con fiducia e amore. Dice ancora il Papa:“In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi” (EG, 95).
Il modello a cui ispirarvi nella vostra vita di preghiera è la Madre di Gesù, la Madre dei Sacerdoti. Nel vangelo di Luca si dice che “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (2, 19).
Così dove fare anche voi! Ascoltare il vangelo, custodirlo nel cuore e meditarlo. Così la vostra lingua parlerà della pienezza del cuore: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6, 45), ci ammonisce Gesù.
Miei cari Ordinandi, con l’imposizione delle mie mani e la preghiera consacratoria, entrerete a far parte del Presbiterio, la grande famiglia diocesana del Sacerdozio ministeriale. L’imposizione delle mani da parte dei Sacerdoti presenti e lo scambio di pace che farete anche con loro indicano l’accoglienza che vi viene riservata.
Il Presbiterio vive una comunione ontologica, che scaturisce dal sacramento dell’Ordine; ed è una comunione che niente e nessuno potrà mai eliminare e disattendere. Ma c’è una comunione relazionale, che ciascun Sacerdote deve ricercare, e che anche voi siete chiamati a costruire giorno dopo giorno. Questa comunione, miei cari, non è semplicemente funzionale al ministero, ma è assolutamente necessaria perché “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).
Come si costruisce questa comunione presbiterale? Imparando “a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori”.
“… si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità” (EG, 91), così Papa Francesco.
Quando è percorsa questa via, si vive in una gioia profonda, la gioia cantata dal salmo 133:
“Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!
È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
È come la rugiada dell’Ermon,
che scende sui monti di Sion.
Perché là il Signore manda la benedizione,
la vita per sempre”.
Ed è una gioia che si vive anche quando ci si avvicenda nel ministero, perché si vive una continuità di annuncio del vangelo, una continuità di guida della comunità.
Quando questa via non è percorsa, c’è l’insidia dell’invidia, che porta il successore a distruggere ciò che ha fatto il predecessore, nella vana pretesa di lasciare un segno personale. Ciò accade quando si modella il vangelo sulle proprie idee e non ci si modella sul vangelo.
Perciò, miei cari Ordinandi, ricercate e costruite anche voi la fraternità sacerdotale con tutti e con ciascuno, senza chiusure in gruppi d’interesse!
Nella preghiera di ordinazione mi rivolgerò al Padre con queste parole: “Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza e donaci questi collaboratori di cui abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio apostolico”.
Nell’esercizio del vostro ministero, sarete collaboratori del Vescovo. Ciò vuol dire che non sarete né acefali né autonomi, ma che il vostro servizio sarà vero ed efficace solo se vissuto in piena e totale comunione con il Vescovo.
Non vivete mai il vostro ministero come sterile esecuzione degli orientamenti che il Vescovo indica alla Diocesi, ma siate intelligenti collaboratori, cioè lavoratori in comunione di fede, di carità e di ministero. Vi aiuterà in questo percorso di comunione gerarchica la preghiera cordiale che vorrete fare per il Vescovo.
“E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati” (Atti 20, 32).
Veglino su di voi la beata Vergine Maria, Regina Apuliae e Madre dei Sacerdoti, San Giuseppe, San Barsanofio, i Ss. Medici, i Santi Martiri di Otranto, San Rocco, Sant’Irene e Santa Lucia, San Martino e il beato Bartolo Longo. Amen.
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