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Omelia nell'Ordinazione Presbiterale di Fra Vincenzo Chirico OFM

Villa Castelli, 21 settembre 2017 - Parrocchia San Vincenzo de' Paoli

“Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, 2con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, 3avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. (Ef 4, 1-3)

L’esortazione che San Paolo rivolge ai cristiani di Efeso, e questa sera a noi che celebriamo questa santa liturgia di ordinazione, ci danno il là per comprendere nel modo migliore ciò che stiamo per vivere. Paolo si definisce “prigioniero a motivo del Signore”, quindi non per un delitto o per un’ingiustizia, ma prigioniero d’amore! Ecco, caro fra Vincenzo, tu che hai chiesto di essere aggregato all’ordine sacerdotale, sappi che diverrai prigioniero d’amore! E questo vuol dire rinunciare sin da adesso e per sempre alla tua volontà, ai tuoi desideri, alle tue umane attese, per vivere da prigioniero per il Signore, appunto prigioniero d’amore e per amore! Sei stato libero nel fare questa scelta, ma stai decidendo di legarti totalmente a Cristo, e a Cristo Crocifisso. Sicché mai devi sentirti oppresso dall’obbedienza, anche quando non è facilmente comprensibile, perché oggi scegli di essere “prigioniero a motivo del Signore”, prigioniero d’amore!
Fai tue le illuminanti parole con cui San Francesco era solito pregare:
“Mio Dio e mio tutto!
Chi siete voi,
mio dolcissimo Signore Iddio,
e chi sono io,
io povero vermiciattolo,
vostro servo?...
Signore santissimo io vorrei amarvi…
Signore mio Dio,
io vi dono tutto il cuor mio
e lo desidero ardentemente
fare sempre di più,
se almeno lo potessi compiere”.

Ecco il punto: “Chi sei, o Signore?”. Ma anche, partendo dalla conoscenza di Dio: “Chi sono io?”.
È ancora Paolo a illuminarci: ognuno di noi è un chiamato, un amato da Dio al punto tale da essere da Lui stesso invitato a seguirlo per una determinata strada. E Paolo ci esorta ad essere degni di questa chiamata. In cosa consiste la dignità della chiamata è poi detto dall’Apostolo in modo chiaro ed inequivocabile: nell’umiltà, nella dolcezza e nella magnanimità, sopportandoci a vicenda nell'amore e avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito attraverso la pace. Ecco tracciato l’itinerario della tua vita sacerdotale, mio caro Fra Vincenzo: dovrai essere umile, sobrio in tutto ciò che farai e dirai. La tua umiltà dovrà essere la stessa di San Francesco, che parte dal cuore nuovo e non da un atteggiamento formalmente esterno! La tua sobrietà dovrà scaturire dalla contemplazione del mistero stesso di Dio e dallo stile di vita ricevuto in eredità dal Serafico Padre.
“Chi siete voi, mio dolcissimo Signore Iddio…”.
La prima fondamentale rivelazione sull’identità di Dio è che Egli è Comunione, comunione d’amore, perché “Dio è amore” (1Gv 4, 8). Ciò vuol dire che ognuna delle tre divine Persone ama le Altre in modo talmente profondo da volere ciò che le Altre Persone desiderano. E questa è vera comunione! Amare sino al punto da desiderare ciò che l’altro ama; amare come l’altro ama; amare quanto l’altro ama!
Una seconda rivelazione sull’identità di Dio è che Egli è relazione: Dio non è chiuso in se stesso! La trinità delle Persone comporta necessità di relazione: il Padre si relaziona con il Figlio e con lo Spirito; e ugualmente il Figlio e lo Spirito. Questo comporta che nessuna delle tre divine Persone può e vuole fare a meno delle Altre: Ognuna vive della relazione con le Altre. Così la relazione è costitutiva in Dio stesso.
Quanto più ci fermiamo a considerare l’identità di Dio, tanto più riusciamo a capire la nostra identità. Noi siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1, 27): questo vuol dire che noi siamo fatti per la comunione e per la relazione. Non possiamo non vivere queste essenziali dimensioni che sono proprie di Dio, ma che Egli ha voluto che fossero anche nostre.
Mentre adoriamo la SS.ma Trinità, siamo chiamati a crescere nella comunione, a desiderare il bene dell’altro, ad instaurare relazioni vere, fondate nell’amore. Siamo chiamati a scoprire che non possiamo vivere isolati, autonomi, indipendenti; dobbiamo avere coscienza che abbiamo bisogno degli altri, come gli altri hanno bisogno di noi. Questo ci vien detto non da un bisogno sociologico, ma dalla fonte da cui siamo stati creati, da Dio stesso. Sicché il mistero della Trinità è il mistero della nostra esistenza che, se si conforma a Dio è beata, altrimenti è infelice.
Mio caro fra Vincenzo, sei ordinato Sacerdote per la gloria di Dio, Uno e Trino, e per l’utilità del popolo che il Signore stesso, tramite i tuoi Superiori, ti affiderà. Non divieni Sacerdote per la tua soddisfazione, ma per l’esercizio del ministero. E quanto più sarai fedele nel ministero, cioè darai gloria a Dio prodigandoti per il prossimo, tanto più ti realizzerai come persona.
Sant’Agostino diceva: “Per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di un mandato che ho ricevuto, questo è nome di grazia. Quello di pericolo, questo di salvezza” (Disc. 340, I).
Con lo stile del Poverello di Assisi, sei chiamato ad evangelizzare i tuoi fratelli e a santificarli. Sei chiamato a vivere e a far vivere relazioni di comunione, relazioni di amore vero, che desiderano il bene altrui e non cercano l’altro per la propria soddisfazione e il proprio compiacimento o, peggio ancora, per il proprio tornaconto.
Sei chiamato, con tutta la tua vita, ancor prima che con la tua parola, ad insegnare che ogni uomo ha il bisogno imprescindibile di ogni altro uomo, che ogni uomo ha la vocazione alla socialità umana: tu, come ciascuno di noi, non puoi fare a meno di nessun altra persona della faccia della terra. È la stessa SS.ma Trinità che te lo insegna e te lo chiede!
Cosicché, caro fra Vincenzo, sei chiamato ad essere uomo di comunione e uomo di relazione. Tutto, nella tua esistenza sacerdotale, deve partire da qui e deve tendere a questo fine. Se non seguissi questa via, non daresti gloria al Dio Uno e Trino, e non vivresti la tua vocazione ad essere immagine e somiglianza del Dio comunione e relazione. E questo comporterebbe la perdita della tua identità vocazionale.
Il sacramento dell’Ordine, nel grado del Presbiterato, che tra poco riceverai, ti abiliterà e ti impegnerà, in modo degno e sapiente, ad esercitare il ministero della parola nella predicazione del Vangelo e nell’insegnamento della fede cattolica. Dovrai, ogni giorno, esercitarti nell’essere fedele discepolo della Parola, ascoltandola, meditandola, interiorizzandola, per diventare un annunciatore forte e mite, un annunciatore credibile. Sta attento e vivi questo processo di interiorizzazione e annuncio della Parola, perché oggi nella Chiesa ci sono tanti annunciatori che non sono credibili!
I passi che sarai chiamato a muovere per portare il Vangelo ai tuoi fratelli, dovranno partire da un cuore infiammato, pieno dell’amore di Dio.
Sarai rivestito degli abiti sacerdotali: la stola e la casula. Sono il segno visibile della tua nuova dignità ma anche il pondus del tuo ministero. Diventerai alter Christus, agirai in persona Christi. Non sei solo te stesso, ma sei Cristo, il Bel Pastore.
Dovrai essere mangiato, come l’Eucarestia che celebrerai e offrirai al tuo popolo; ma non sarai tu il pane dei pellegrini, il farmaco dell’immortalità.
Nell’esercizio del ministero sacerdotale c’è sempre questo rischio: sentirsi indispensabili per la salvezza altrui. Siamo utili in quanto servi del Maestro e non di più! Creare dipendenza da noi è offuscare il volto luminoso del Bel Pastore. Ogni annuncio che non sia libero e liberante, che non parte da un cuore puro e da occhi limpidi, diviene antievangelico.
Per questo dovrai essere più strettamente unito a Cristo, Sommo Sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi.
“Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15, 9-10).
Questo intimo ed indissolubile legame con Cristo, ti pone in una nuova trama di rapporti con Lui: “Non vi chiamo più servi,…; ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Sarà bello per te avvertire ogni giorno la presenza dell’amico che si è fidato di te, che oggi si affida alle tue mani e ti ripete con tutta la forza della Sua divinità: “Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16).
Ungerò con il sacro crisma la palma delle tue mani: dovrai santificare il tuo popolo e presentarlo come offerta gradita a Dio.
Il crisma con cui sarai unto non è un cosmetico per preservare le tue mani e renderle esteticamente belle. È elemento consacratorio delle tue mani e della tua vita, cosicché potrai vivere nella tua carne quel miracolo antico e sempre nuovo che è la consacrazione eucaristica: l’ostia diverrà nelle tue mani il Corpo del Signore. Non ti abituare mai a questo evento meraviglioso! Vivilo sempre con immenso stupore e profonda gratitudine. Te lo ripeto: il pane diventa Cristo nelle tue mani!
Ma le tue mani consacrate dovranno sempre tendersi verso quell’altra carne di Cristo che sono i poveri, gli ammalati, gli esclusi. Le tue mani, che profumano di Cristo, dovranno far profumare anche la vita dei bisognosi. Ricorda sempre quella particolare esperienza del Padre San Francesco che iniziò il suo cammino di conversione abbracciando un lebbroso.
Il crisma, posto sulle nostre mani, deve essere come trasmesso sui nostri fedeli, specialmente gli ammalati. Non disdegnare mai di usare tenerezza verso di loro; accarezzali con amore perché loro sanno che quella è la carezza di Cristo, e quella carezza li fa vivere, li fa gioire, li fa sentire vivi e utili all’umanità.
Su quelle stesse mani consacrate innalza al Padre l’offerta dei fanciulli e dei giovani, dei fidanzati e degli sposi, dei confratelli Religiosi e dei Sacerdoti, dei peccatori e dei santi; innalza l’offerta di chi inconsapevolmente cerca Dio e di chi lo rinnega. Così si costruisce la Chiesa e si diffonde il Regno di Dio.
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11).
Caro Vincenzo, la tua gioia, come la gioia di ogni Sacerdote, è nella Croce di Cristo. Egli ha obbedito sino alla Croce. E oggi, come un giorno a San Matteo, di cui celebriamo la festa, Gesù ti dice: “Seguimi”. Tu obbedisci e seguilo ma sappi che ti porterà sulla Croce, per permetterti di essere libero dal male, da te stesso ed essere dono d’amore per i tuoi fratelli!
Quanto è necessario avere la consapevolezza che è Dio che ci invia nelle diverse missioni che l’obbedienza alla Chiesa, al tuo Superiore e al Vescovo comportano. Ma Dio non ci invia rimanendo lontano da noi che andiamo: ci invia dicendoci sempre: “Seguimi”, per cui l’obbedienza è sequela!
Prendi a modello Maria Ss.ma. Da Lei impara a dire ogni giorno: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38); da Lei continua ad imparare a pronunciare il tuo SI che ti fa diventare ancora più buono e ti conduce al suo Figlio, fonte di ogni bontà.
Ti guidino e ti proteggano San Francesco d’Assisi, Santa Chiara, San Vincenzo.
Ringrazio i tuoi genitori e i tuoi familiari qui presenti poiché la famiglia è la culla della vocazione, e li esorto: seguite con la preghiera incessante la vita sacerdotale di Vincenzo.
Ringrazio i tuoi Formatori e la tua Provincia Religiosa.
Ringrazio la tua Comunità parrocchiale: prega per essa perché possa veder crescere tante altre e sante vocazioni di speciale consacrazione.
Amen.

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