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Omelia del vescovo Vincenzo nella Solennità di San Barsanofio Abate 2021

Oria, 30 agosto 2021 - PiazzaIe San Pasquale

“Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?»” (Mt 19, 27).


Carissimi Amici,

         ancora una volta il Signore ci ha convocato come assemblea santa per nutrirci con la Sua Parola, con l’Eucarestia e con la testimonianza e l’intercessione del nostro Santo Patrono, San Barsanofio di Gaza. Sarebbe veramente irriverente se, volendo onorare il nostro Santo, non ci disponessimo con tutto noi stessi, con il nostro corpo, con la nostra mente, con il nostro cuore e con il nostro spirito ad accogliere i doni che per noi sono stati preparati. Doni che, secondo la parola di Gesù, sono centuplicati ed arricchiti del dono supremo della vita senza fine, della vita eterna.

         Ci esorta Sant’Agostino: “Siamo veramente beati se, quello che ascoltiamo, o cantiamo, lo mettiamo anche in pratica. Infatti il nostro ascoltare rappresenta la semina, mentre nell'opera abbiamo il frutto del seme. Premesso ciò, vorrei esortarvi a non andare in chiesa e poi restare senza frutto, ascoltare cioè tante belle verità, senza poi muovervi ad agire” (Disc. 23 A, 1-4).

La domanda di Pietro, che scaturisce dalla rivelazione di Gesù circa la difficoltà per un ricco di entrare nel Regno dei Cieli, è la stessa che noi oggi dobbiamo porci, chiedendoci però non cosa otterremo, ma cosa abbiamo lasciato, a cosa abbiamo rinunciato per scegliere la via del vangelo, la via della sequela cristiana. E mi pare quanto mai opportuno ribadire che le condizioni della sequela di Gesù riguardano tutti coloro che hanno scelto il Signore come proprio Maestro, come propria Guida per giungere alla beatitudine, non solo alcuni, come spesso ci piace interpretare, proprio tutti coloro che sono stati resi figli di Dio per mezzo del lavacro battesimale.

         Ad un fratello di religione, Doroteo, che aveva chiesto come giungere a tagliare la propria volontà e come interpretare la parola di Pietro “Ecco abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”, San Barsanofio risponde così: “Lasciare la propria volontà è versare sangue. Ciò significa che uno deve faticare fino alla morte per annullare la propria volontà” (Ep. 254).

         Credo che l’insegnamento del nostro Patrono sia alquanto chiaro: la scelta di abbandonare ogni cosa per seguire il Signore non riguarda semplicemente i beni materiali. Paradossalmente, si possono abbandonare tutti i beni che uno possiede ma questo può non essere la vera sequela di Gesù. I beni si abbandonano veramente solo quando si è abbandonata la propria volontà, cioè quando si vuole con tutto se stessi che si compia in noi la volontà di Dio, anche quando Questa appare difficile da seguire e non particolarmente allettante. E, ovviamente, questo richiede un grandissimo sacrificio, un impegno che dura tutta la vita. Ecco perché San Barsanofio utilizza un’espressione molto forte, “versare sangue”, per indicare la fatica necessaria per purificare la nostra volontà, per renderla corrispondente a quella di Dio, per farci avere, a noi che siamo stati resi figli di Dio, una volontà corrispondente a quella del nostro Padre celeste. D’altra parte, Dio ha versato sulla Croce il sangue del Figlio Unigenito per renderci capaci di ricevere il dono della figliolanza divina.

         Ecco, quindi, indicato l’ambito del nostro impegno: versare il sangue sino alla morte per uniformare la nostra alla volontà del Padre. Chi non volesse percorrere questa strada, certamente difficile e non priva di pericoli, di sofferenze e di mortificazioni, deve rinunciare ad essere figlio di Dio, con la conseguenza che deve rinunciare anche all’eredità dei figli di Dio: la vita beata ed eterna.

         Il nostro essere qui ci dice che vogliamo percorrere questo itinerario. E allora scrutiamo la scrittura e accogliamo l’insegnamento dei Santi per imparare ad abbandonare la nostra volontà.

         Il primo insegnamento di come si abbandoni la propria volontà ci viene proprio dal Figlio Unigenito del Padre. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2, 5-7), ci esorta San Paolo.

         A Gesù fa seguito la Sua Madre, Maria. All’annuncio dell’Angelo, Ella risponde con semplicità, fede e disponibilità: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).

         Da questi eccelsi esempi che ci offre la scrittura, appare chiaro che il primo passo da compiere per poter abbandonare la propria volontà sia quello di rendersi disponibili a mettersi in gioco.

         Ognuno di noi ha un progetto di vita, una serie di desideri che vorremmo esauditi. Primo fra tutti quello di essere considerati importanti, forse inconsapevolmente, considerati essenziali per la storia del nostro tempo. Ora il mettersi in gioco implica che dobbiamo accettare di dover essere in panchina, accettare di non essere sempre il centro di ogni iniziativa. Così come accettare che l’altro possa avere idee migliori delle mie.

- Pensiamo alla famiglia: se uno dei coniugi dovesse credere che il suo modo di pensare la vita della famiglia è il solo possibile e non lasciasse spazio all’altro coniuge, ma anche ai figli e a tutti coloro che compongono la famiglia, permettendo anche agli altri di sbagliare; insomma, se non fosse capace di mettersi accanto e non al centro, la vita di quella famiglia sarebbe triste, la vita di quel coniuge sarebbe triste, perché incapace di mettersi in gioco, di rinunciare alla propria volontà.

- Pensiamo alla vita della Chiesa: se il Vescovo o un Parroco, pensando di possedere tutta la verità, non permettessero ai Laici di manifestare la propria idea, di essere protagonisti nel proporre e nel seguire il Vangelo, quella comunità sarebbe triste e il Vescovo o il Parroco sarebbero indisponibili allo Spirito santo che, attraverso diverse vie, vuole modellare la loro volontà, uniformandola a quella di Gesù.

- Pensiamo alla vita sociale e pubblica: se un responsabile di comunità, sia esso il Sindaco o il Presidente di Regione o il Presidente del Consiglio dei Ministri, volessero affermare la propria ideologia senza pensare al bene comune e senza ascoltare le altre opinioni, lì dove l’ascolto non è solo sentire l’altro che parla ma fare discernimento per cercare la via migliore, ci sarebbe grande insoddisfazione e non sarebbero raggiunti obbiettivi validi ed efficaci per i cittadini.

         Si comprende bene che, negli esempi riportati, ma anche in tutti gli altri casi della vita, il mettersi in gioco, il cercare di abbandonare la propria volontà, uniformandola a quella di Cristo, comporta grande sacrificio, versamento di sangue, fatica continua. Come ci ha insegnato San Barsanofio, non bisogna mai abbassare la guardia nei confronti della propria volontà perché, al minimo cedimento, ritorniamo al nostro umano pensare.

         C’è un secondo passo da compiere per abbandonare la propria volontà, dopo essersi messo in gioco: è l’apertura allo Spirito santo. Che cosa vuol dire aprirsi allo Spirito santo? Per quanto, mossi da buoni propositi, possiamo sforzarci di cercare di cambiare la nostra volontà, anzi di abbandonarla, il nostro rimane solo uno sforzo; ciò che consegue al nostro sforzo è una sorta di violenza alla nostra volontà per cambiarla, ma in realtà, nel suo profondo, la nostra volontà non è cambiata, si sta sforzando di mostrare qualcosa di diverso, non è versare il sangue, forse è solo farsi qualche ferita, ma certamente non è un cambio reale quello che avviene. Come riprova che il nostro solo sforzo non è sufficiente per abbandonare la nostra volontà e uniformarsi a quella salvifica e liberante di Dio basta guardare come ci si comporta quando siamo feriti nell’orgoglio, basta ripensare a quel pensiero martellante che ritorna continuamente nella nostra mente perché non si è allontanato dal nostro cuore: “Ma come, dopo tutto quello che ho fatto, mi trattano così?”.

         Solo quando ci abbandoniamo allo Spirito santo perché riempia il nostro cuore della dolce nostalgia di Dio; solo quando ci arrendiamo alla Sua azione purificatrice e liberante; solo quando decidiamo di non proporre allo Spirito santo le nostre soluzioni umane che, apparentemente, sembrano risolvere i problemi salvando capra e cavoli, ma in realtà sono un modo per conservare le nostre debolezze cui siamo affezionati, solo allora la Luce divina, lo Spirito che è Fuoco e Amore, renderà il nostro cuore nuovo e il cuore ricreato dallo Spirito di Dio illuminerà la nostra volontà facendocela abbandonare.

         Questa necessaria apertura allo Spirito santo è la fatica che dura tutta la vita, come ci ha detto San Barsanofio. Non è un traguardo che si raggiunge senza sforzo, sicché dobbiamo compiere la scelta ogni giorno, ogni giorno dobbiamo dire: “Signore illumina il mio cuore, fammi desiderare di compiere la Tua volontà”. Ogni giorno dobbiamo scendere nell’arena del nostro cuore per schierarci con Dio contro la nostra volontà malata; ogni giorno dobbiamo lottare per abbandonare la nostra volontà e, così, cambiare il mondo e la storia.

         Ancora una volta e con immutato vigore desidero porre la nostra Città e la nostra Diocesi di Oria, specialmente in questo tempo di epidemia, sotto la protezione di San Barsanofio e, contemporaneamente, chiedere la sua intercessione per impetrare da Dio il dono di far crescere nel cuore di ogni fedele della nostra Diocesi il desiderio di mettersi in gioco per il Vangelo e di aprirsi all’azione dello Spirito santo, così come ha fatto il Grande Anziano.  Amen.

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