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Omelia del vescovo Vincenzo nella Messa Crismale 2021

Oria, 1 aprile 2021 - Chiesa di S. Giovanni Paolo II

Ancora una volta siamo contingentati, a causa delle restrizioni per la pandemia del virus Covid-19, ma la vostra presenza qui oggi è manifestazione della comunione della nostra Chiesa di Oria, comunione che sempre ci deve essere e sempre deve crescere.

Il perdurare del tempo della pandemia, con nuovi e più alti contagi e ancora tanti morti, potrebbe indurci a credere di essere soggetti ad una sorta di punizione da parte di Dio per il nostro comportamento non conforme al Vangelo. Benché dobbiamo riconoscere che, come singoli ma anche come società umana, ci siamo allontanati dal Vangelo e abbiamo assunto comportamenti che ci hanno distanziato dall’amore per Dio e per il prossimo, purtuttavia il Signore oggi ci ha offerto questa parola di speranza: “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (Ap 1, 5b-6).

Si, benché peccatori, e lo ribadisco, sia come singoli che come società, Gesù Cristo, nostro Dio e Signore, oggi “ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue”. Ancor di più, “ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Ecco, miei cari Amici, siamo sacerdoti per la gloria di Dio e per la salvezza dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, per i quali Cristo ha versato il suo sangue. Non siamo sacerdoti per noi stessi, ma per Dio e per il popolo.

Avendo questa consapevolezza, che mai ci deve abbandonare, mi voglio soffermare con voi su un insegnamento che San Paolo ha offerto, in prima istanza, ai cristiani di Filippi e, oggi, la Chiesa lo offre a tutti noi. Scrive l’Apostolo delle Genti: “Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo perché, sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano, abbia notizie di voi: che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del Vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo per loro è segno di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio. Perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora” (Fil 1, 27-30).

Questo testo di San Paolo ci offre alcuni insegnamenti, molto pratici, per la nostra vita sacerdotale che si fonda sul nostro essere cristiani, battezzati e figli di Dio; quindi questi insegnamenti sono anche per voi, cari Fratelli e Sorelle, che non siete insigniti del carattere sacerdotale ministeriale.

Un primo insegnamento che possiamo ricavarne mi pare possa essere quello di essere cristiani incarnati nella nostra storia e nel nostro tempo, non spiritualisti, cioè totalmente distratti rispetto alla città degli uomini. È vero che sempre San Paolo che ci esorta: “cercate le cose di lassù” (Col 3, 1) e, anche, “la nostra patria è nei cieli” (Fil 3, 20). Ma molto spesso ci capita di guardare dai margini della vita sociale o, peggio, dall’alto, assumendo atteggiamenti di critica nei confronti dell’impegno altrui. Comportarsi “in modo degno del Vangelo di Cristo” vuol dunque dire riconoscere di essere chiamati, come cristiani e come sacerdoti, ad avere uno sguardo attento, compassionevole e partecipe tale da riconoscere la strada da percorrere o il cammino da tracciare, l’impegno da assumere e la qualità della società da costruire.

Ci ricorda la Lettera a Diogneto (5, 1-2. 4.5): “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. […]

Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera”. Siamo nel II secolo, ma sembra scritta per noi oggi! Come cristiani, ma anche come sacerdoti siamo chiamati, ci dice Paolo, a costruire una società che sia più degna per l’uomo e, per ciò stesso, più degna per Dio, di cui l’uomo è immagine e somiglianza (cfr. Gen 1). Una società nella quale la giustizia, la verità, l’onesta, il rispetto, il servizio sono alcuni elementi necessari perché tutti si trovino bene. Mi piace ricordare ciò che scrive don Primo Mazzolari: “È finito il tempo di fare lo spettatore, sotto il pretesto che si è onesti e cristiani. Troppi ancora hanno le mani pulite perché non hanno mai fatto niente. Un cristiano, che non accetta il rischio di perdersi per mantenersi fedele a un impegno di salvezza, non è degno di impegnarsi col Cristo” (Impegno con Cristo, Vicenza 1979, p. 29).

San Paolo, che ci stimola a vivere in modo degno del Vangelo, ci dice anche che il nostro impegno non deve partire dal timore per una perdita di prestigio o per non dispiacere a qualcuno; né tantomeno perché si è sotto osservazione, sotto controllo: “sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano”. Dobbiamo piuttosto chiederci sempre: “Se mi comporto scorrettamente o se non mi impegno per il bene comune, chi ci rimette?”. È una domanda di senso, miei cari fratelli, che deve inquietarci sempre; deve essere il pungolo continuo per la nostra vita da battezzati e per il nostro ministero sacerdotale!

E il vivere secondo il Vangelo non deve avere come scopo la visibilità, che potrebbe portare vantaggi nel presente o nel futuro: questi possono essere conseguenza di quanto fatto, non motivo per fare!

Il secondo insegnamento che possiamo trarre dal testo di San Paolo è la scelta del fondamento della vita cristiana e della missione sacerdotale: “state saldi in un solo spirito e [che] combattete unanimi per la fede del Vangelo”.

Ci soccorre la parola di Gesù il Quale, parlando della costruzione della casa, distingue il saggio dallo stolto in base al tipo di terreno scelto: roccia o sabbia (cfr. Mt 7, 24ss.), e la roccia, fuor di parabola, è la Sua Parola! Non possiamo non pensare a Pietro che si affida a Gesù dicendo: “Sulla Tua Parola…” (Lc, 5, 5).

Eppure, tante volte, è più semplice e richiede meno tempo costruire su idee che ci piacciono, su comportamenti che vanno di moda, su amicizie superficiali, su presunte profondità di pensiero di qualcuno. Ma tutto questo, e lo sappiamo, non dà solidità alla nostra vita cristiana e sacerdotale: dinanzi ad una difficoltà tutto si sbriciola, si perdono anni di fatica, di impegno, di scelte!

Diciamocelo con chiarezza, come fa San Paolo: abbiamo bisogno di cercare e di trovare persone con le quali condividere il fondamento della nostra vita, che è Gesù e la Sua Parola. E come sacerdoti siamo chiamati a fornire un aiuto chiaro, libero da ogni interesse personale; dobbiamo aiutare, chi si rivolge a noi, a mettere la propria fede in Gesù, a basarsi su di Lui e sulla Sua Parola! A questo proposito, ho ancora negli orecchi e nel cuore, essendo stato presente, le parole che Papa Benedetto XVI rivolse agli ordinandi Vescovi, dei quali uno è l’attuale Cardinale Segretario di Stato, il 12 settembre 2009: “La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo”.

È conoscenza comune che molte cose della vita, ritenute importanti, passano con tempo: successo, bellezza, ricchezza, intelligenza, fascino, amicizie, potere, amori, ecc.: solo Cristo non passa mai!

Bisogna fondarsi e fondare su di Lui! Paolo ci invita anche a non avere tentennamenti, cambi di posizione, sequela delle mode. Bisogna saper distinguere tra l’essenziale e il secondario, tra chi e cosa s’incarna e le modalità dell’incarnazione. Spesso ci si impantana sul come Gesù ci parla e non su quello che ci dice, e, perciò, cambiando la modalità di trasmissione della fede ci sembra che stiamo cambiando fede. Se il nostro fondamento è Cristo e la Sua Parola, allora non sarà una riforma liturgica o catechetica, un’omelia poco preparata, un vescovo o un sacerdote che non mi piacciono, un amico che sceglie una religione orientale, le fuorvianti attenzioni di una donna, per farci mettere tutto in discussione!

Nella scelta del fondamento della nostra esistenza, San Paolo ci offre anche un sostegno sicuro per rimanere saldi nel Signore, perché, come appare evidente in tantissime circostanze della vita, la fedeltà a Gesù e alla Sua Parola non è cosa facile. Questo sostegno è la reciprocità: abbiamo strutturalmente bisogno di aiutarci gli uni gli altri a perseverare e a crescere nella fede. È necessario che qualcuno ci aiuti a tenere “fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12, 2). E questo perché “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (1Cor 10, 12).

Un terzo insegnamento che possiamo cogliere dalla lettera di Paolo è l’unanimità, la comunione, l’unità: “combattete unanimi per la fede del Vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari”.

Perché è necessaria questa unità? Innanzitutto perché è testimonianza dell’unità trinitaria (cfr. Gv 17, 21) e, poi, perché è un fortissimo antidoto contro l’azione del diavolo, il quale, per sua natura, è colui che divide, che separa e, quindi, distrugge. Basti pensare alle rivalità che ci sono tra i gruppi parrocchiali, tra i fedeli a cui abbiamo dato qualche responsabilità nella vita ecclesiale e, forse, anche tra noi sacerdoti. Sebbene ci facciamo poco caso, dobbiamo però essere consapevoli che non sono cose di poco conto: attraverso di esse il Maligno scardina la nostra sequela di Gesù perché semina zizania, induce alla distruzione più che alla costruzione, fa ritenere migliore l’odio dell’amore, spinge a considerare l’individualismo superiore alla scelta comunitaria. Dobbiamo fare molta attenzione: scegliere l’unità come criterio per l’annuncio del Vangelo non è massificare le iniziative ma irrobustire l’opera di evangelizzazione. Ricordiamocelo sempre: come Presbiterio abbiamo l’obbligo del gioco di squadra!

E il gioco di squadra ci aiuta anche a non lasciarci intimidire dagli avversari. Quante volte la nostra fede è presa in giro, è derisa, fatta passare come un retaggio del passato, una cosa da vecchi! E spesso siamo incapaci di affrontare questa realtà. E taciamo! Con il rischio di pensare che, con il tacere, stiamo usando rispetto per chi non la pensa come noi. L’unità ci aiuta a trovare la forza necessaria per non mancare di rispetto ma, al tempo stesso, non perdere la propria libertà. Sentite cosa scriveva Santa Caterina da Siena ai sacerdoti Giovanni Sabbatini e Taddeo dei Malavolti: “Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e della dolce Maria. Carissimi figli in Cristo Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù Cristo, vi scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa di vedervi cavalieri forti, senza nessun rispetto umano. Così vuole il nostro dolce Redentore, vuole cioè che noi temiamo di disobbedire a Lui e non agli uomini del mondo” (Lettera CLXXXVII). Il filosofo francese Paul Ricoeur stigmatizza questo stile: “In una società del genere, quale è in larga misura la nostra, il vergognarsi di Gesù e delle sue parole riveste le forme più sottili dell’astensione e del silenzio” (La logica di Gesù, p. 61). Così, tacere e astenersi quando dobbiamo parlare ed agire è vergognarsi di Gesù Cristo!

Un’ultima serie di insegnamenti che ci vengono dalla lettera di Paolo riguarda il prezzo della sequela. Le responsabilità che il Signore ci offre sono sempre doni gratuiti ma non ci esimono dall’impegno di incarnarle nello spazio e nel tempo in cui viviamo. Scrive Papa Francesco: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG, 1). Ma questa gioia non è a saldi! Si ottiene con la conquista! Al termine di una giornata di lotta, quando la generosità ha sopraffatto l’egoismo, l’amore ha vinto l’odio, l’altruismo ha sconfitto l’individualismo, la verità è rifulsa sulla falsità, il cuore grande ha ottenebrato il cuore meschino, la libertà ha sdoganato tante schiavitù e l’amore per Cristo ha accolto la sofferenza, allora si è conquistata la gioia del Vangelo!

Ci illumina Bonhoeffer: “La grazia a buon mercato è grazia senza sequela, grazia senza croce, grazia senza Gesù Cristo vivo, incarnato” (Sequela, p. 29). Il Signore ci doni di saper pagare con gioia il nostro prezzo di sequela.

Desidero ricordare don Emanuele Balestra, don Angelo Micocci e don Francesco Sternativo che festeggiano in quest’anno i primi 10 anni di ordinazione sacerdotale (sono la primizia del mio ministero episcopale), il carissimo Vicario Generale, don Franco De Padova, che in quest’anno festeggia il giubileo sacerdotale del 50° anniversario, e insieme con loro, don Pietro Chirico che festeggia il 72° di ordinazione e don Vincenzo Baldari che, festeggiando il 74° anniversario, è il decano del Presbiterio.

A Voi, miei cari Religiosi, Religiose e Laici, Vi chiedo di sostenere, con la responsabilità della preghiera e dell’affetto fraterno, la missione dei Vostri Sacerdoti e del Vostro Vescovo. Amen.

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