Documenti del Vescovo

Documenti

Archivio

Omelia nella Messa Crismale 2015

Oria, 2 aprile 2015 - Basilica Cattedrale

Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di Lui” (Lc 4, 20b)

Miei cari fratelli Sacerdoti e figli,
     in questa celebrazione mattutina del Giovedì Santo, desidero per ciascuno di voi che si realizzi quanto avvenne per i contemporanei di Gesù nella sinagoga di Nazareth, quando Gesù lesse il profeta Isaia, come ci è stato ricordato nel Vangelo. E cioè, che gli occhi di tutti siano fissi su Gesù. È la principale azione che ogni discepolo deve compiere verso il proprio maestro: fissare la sua persona per coglierne l’insegnamento, non solo orale, ma anche corporale e, direi, anche gestuale.

     “Un discepolo non è da più del maestro” (Mt 10, 24), ha detto Gesù. È per questo motivo che dobbiamo imparare dal Signore: per essere come Lui è stato! E se noi fissiamo lo sguardo su di Lui, avremo innanzitutto il grande beneficio di non essere distratti da altro. È proprio la distrazione che ci fa perdere il senso dell’orientamento, ci fa diventare pecore che girano a vuoto, che non sanno dove andare per trovare pascolo (Mc 6, 34); discepoli disorientati e spesso anche guide disorientate! “Guide cieche” (Mt 15, 14). La nostra stella polare, il nostro unico riferimento è Gesù: per questo è assolutamente necessario non distogliere mai lo sguardo da Lui! E questo vale per tutti, per noi Sacerdoti e per voi, cari Fedeli Laici, per tutti! Tenere fisso lo sguardo su Gesù!

     Questa mattina prego in modo particolare per ciascuno di voi, perché i vostri occhi riescano a contemplare il Signore Gesù, nostro unico Maestro, e a tenere lo sguardo fisso su di Lui!

     E da questo sguardo fisso scaturirà: per noi Sacerdoti, una progressiva conformazione al Maestro; e per voi Laici, una accresciuta capacità e consapevolezza a scoprire Gesù nell’azione pastorale dei ministri sacri!

     Guardando Gesù scopriamo che entra nella sinagoga di sabato, com’era suo solito. Entrare nella sinagoga per noi vuol dire entrare nella Chiesa, non stare fuori e non rimanere sulla porta d’ingresso. Quanti battezzati e quanti Sacerdoti rimangono fuori dalla Chiesa o si fermano sulla soglia d’ingresso! Ciò avviene quando non sentiamo la Chiesa come nostra, quando la percepiamo come avversaria, quando la vediamo come una prigione con tutte le sue regole e i suoi divieti; quando non ci sentiamo accolti da una madre attenta e premurosa; quando non ci sentiamo incoraggiati sulla via del bene. E questo può avvenire sia perché siamo noi a porci al di fuori, sia perché chi ha il dovere dell’accoglienza, non lo esercita nel modo dovuto. E così avviene una sorta di “scomunica”, non formale ma esistenziale, una scomunica nei fatti. Viviamo da scomunicati, fuori dalla Chiesa! Oggi Gesù ci dice che dobbiamo sforzarci per sentire la Chiesa come Madre da amare e, soprattutto, dalla quale siamo amati! Oggi dobbiamo decidere di entrare con Gesù nella Madre Chiesa per sperimentarne la misericordia!

     Cari fratelli Sacerdoti, esorto soprattutto voi: mostrate il volto misericordioso di Cristo e della Chiesa, Sua Sposa e nostra Madre. Per quanto dipende da voi (Rom 12, 18) mettete il massimo impegno, offrite la vostra vita in sacrificio di soave odore (Fil 4, 18) perché, anche chi si sente lontano e schiacciato dal peso della propria indegnità a causa dei propri peccati, possa venire attratto dal lieto annuncio della misericordia. Dio ci ha costituiti Sacerdoti perché, in Suo nome, esercitiamo la misericordia; per Lui spalanchiamo le porte del Suo cuore, porte sempre aperte. Siamo Sacerdoti della misericordia!

     Citando Isaia, Gesù ha detto di sé: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4, 18a). E questo vale anche per noi. Siamo stati consacrati con l’unzione perché lo Spirito fosse effuso su di noi. E lo Spirito di Dio, che è lo Spirito dell’Amore, dal giorno della nostra ordinazione sacerdotale sta su di noi, non ci abbandona, ci guida e ci spinge ad essere annunciatori della misericordia. San Giovanni Paolo II, di cui oggi ricorre il decimo anniversario del suo ritorno alla Casa del Padre, diceva: “Questa è la nostra vocazione e missione di servitori. È vocazione e missione che racchiude in sé un grande e fondamentale servizio nei riguardi di ciascun uomo! Nessuno può compiere un tale servizio al nostro posto. Nessuno può sostituirci. Dobbiamo raggiungere col sacramento della nuova ed eterna Alleanza le radici stesse dell’esistenza umana sulla terra.

     Riflettiamo bene, cari Fratelli e cari Amici, a quale sublime intimità il Signore ci ha chiamati: unti con lo stesso Spirito per essere ministri di misericordia! Quanta responsabilità! Quanta responsabilità!

     Dio, chiamandoci al sacerdozio ministeriale, ci ha messo in mano le chiavi dell’eternità! O sublime Amore di Dio che non si preoccupa di mettere nelle nostre mani vuote i potenti mezzi della Sua grazia.

     Pensiamo, miei Fratelli Sacerdoti, alla parola di Dio, più tagliente di una spada a doppio taglio (Eb 1, 12): lo Spirito la offre al mondo attraverso le nostre povere parole, ma è un seme che porta frutto, “dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento per uno” (Mc 4, 20).

     È questa parola che ridona la vista ai ciechi. Non è cieco solo chi non vede, ma è cieco anche chi vede solo se stesso, i propri interessi, il proprio “orto”, il proprio “io”!

     È la parola di Dio, che lo Spirito del Signore ci invita a seminare a larghe mani, che fa innalzare lo sguardo degli uomini, che fa vedere oltre se stessi.

     E noi siamo ministri di questa “oculistica spirituale”; ministri, cioè servitori! Servitori e seminatori!

         Quando Gesù ha istituito il Sacerdozio ministeriale, in quel primo ed unico Giovedì santo, lo ha fatto insieme a quell’altro sacramento che è un tutt’uno con l’ordine sacro: l’Eucarestia! Noi “siamo nati dall’Eucarestia”. “Esiste una specifica reciprocità tra l’Eucaristia e il Sacerdozio, reciprocità che risale al Cenacolo: si tratta di due Sacramenti nati insieme, le cui sorti sono indissolubilmente legate fino alla fine del mondo” (San Giovanni Paolo II).

     Vorrei che in questo santo giorno dell’istituzione dei due sacramenti rivivessimo la gioia e l’ebbrezza spirituale del giorno della nostra ordinazione sacerdotale.

     In quel giorno, l’unzione dello Spirito Santo ci rese Sacerdoti, capaci di realizzare la presenza sacramentale di Gesù in mezzo al popolo. Da allora, ogni volta che diciamo al pane e al vino “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…”, misteriosamente ma realmente Cristo è presente in mezzo a noi. Se ci rendessimo veramente conto di quale privilegio ci è toccato, forse moriremmo per la grandezza e la sublimità dell’evento!

     Amati fratelli e figli, chiedo al Signore che vi renda inquieti dinanzi a tanta grandezza e a tanta umiltà! Chiedo al Signore che non ci faccia mai abituare al mistero posto nelle nostre mani.

     Molto spesso, nella meditazione personale, mi siete passati dinanzi, cari fratelli nel Sacerdozio; ho pensato ai vostri impegni ministeriali. Oggi al Sacerdote sono chieste tante cose, forse troppe. So che, nella maggior parte dei casi, spendete il vostro tempo con generosità e passione per le tante richieste che vi vengono rivolte. E questo mi rende felice. Ma sento la responsabilità di indicarvi un fondamentale elemento che possa aiutarvi a non dilaniare il vostro intimo, che unifichi tutta la vostra azione pastorale: sto parlando dello stupore eucaristico! Chiedo al Signore per ciascuno di voi, che non perdiate mai questo sentimento, sia nella quotidiana celebrazione eucaristica che nell’adorazione del mistero d’amore di Dio per noi. Quando celebriamo l’Eucarestia non stanchiamoci mai di pensare che, anche nella nostra celebrazione solitaria, stiamo perpetuando il mistero della redenzione operata da Cristo per tutta l’umanità. Lì, sull’altare dove Cristo si offre sulla Croce e risorge dal sepolcro, è presente tutta l’umanità con la più profonda aspirazione del suo insaziabile cuore. E noi dobbiamo sempre stupirci di essere proprio lì, di fronte all’altare, i pontefici, i ponti tra Dio che s’incarna e l’uomo che viene elevato. Si, tutto passa attraverso la nostra povera umanità e tutto viene trasformato in grazia. La considerazione di tutto questo non deve stupirci in continuazione?

     Fratelli miei, solo finché sapremo stupirci dinanzi a tanta sublimità e tanta umiltà dell’Eucarestia, vivremo con freschezza l’azione pastorale e vedremo anche accrescere il numero di coloro che desiderano seguire e servire il Signore. Stupendoci dinanzi all’Eucaristia diventeremo per tanti ragazzi e tanti giovani come Giovanni Battista che orienta alla sequela di Gesù, indicandolo come l’Agnello di Dio. E oggi chiedo anche tanta preghiera per le vocazioni.

     Alla Vergine santa, Madre dei Sacerdoti, chiedo che vi ottenga di non abituarvi mai a ciò che è posto nelle vostre mani.

Desidero concludere con le parole di San Paolo agli Efesini: “Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (4, 1-3).

Viviamo in un’epoca di grandi tensioni, ed il nostro preciso compito di ministri della Riconciliazione e della misericordia, di ministri della Parola e di ministri dell’Eucarestia è di svolgere l’importante servizio della Chiesa che nasce dall’unità dello Spirito, cioè riconciliare e unire gli uomini che vivono nelle contrarietà interne ed esterne, attorno a loro e in loro stessi. Riportare tutti all’unità che lo Spirito crea attraverso il vincolo della pace.

Fratelli miei, a ciascuno di voi “è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo…al fine di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4, 7. 12). “Siamo fedeli a questa grazia. Siamo eroicamente fedeli a questa grazia!” (San Giovanni Paolo II). Amen.

Allegati:

« Indietro