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Omelia nell'Ordinazione Diaconale di Pasquale Dellomonaco e Presbiterale di Federico Vincenti

Oria, 6 settembre 2014 - Basilica Cattedrale

«O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 33, 7).

     Queste parole, che Dio rivolge al profeta Ezechiele e che la liturgia della Parola della XXIII domenica del tempo ordinario offre alla nostra meditazione, sono quanto mai opportune per introdurci nella contemplazione di questo evento tremendo e glorioso che stiamo vivendo: l’ordinazione diaconale di Pasquale Dellomonaco e l’ordinazione presbiterale di don Federico Vincenti.

     Dico “evento tremendo e glorioso” perché da oggi la vostra vita consacrata, la tua, Pasquale, e ancor di più la tua, don Federico, dovrà introdurre nella Gerusalemme celeste coloro che vi si accosteranno; dovrà realizzare quel contatto unico con Dio, che è l’elemento centrale della vostra consacrazione. E ciò che riguarda Dio è sempre, al tempo stesso, glorioso e tremendo!

     Rivolgendosi ad Ezechiele, Dio dice: “Io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele” (Ez 33, 7a).

     Qual’è il compito e la vita della sentinella? E’ quello di vegliare e di scrutare l’orizzonte, di avere una vita pronta ad entrare sempre in azione.

     Miei cari Ordinandi, siete chiamati, ognuno nel suo grado, ad essere sentinelle per la Chiesa di Dio; siete chiamati ad avere un cuore desto, vigile, capace di scrutare l’orizzonte per annunciare l’avvicinarsi sia del pericolo che della consolazione.

     Il Signore ha detto: “Io ti ho posto…”. Prendete immediatamente coscienza che non siete voi ad aver scelto la via della consacrazione, ma è Dio che vi ha chiamati ed è la Chiesa che riconosce in voi questa missione e vi manda per essere sentinelle.

     La consapevolezza che non state realizzando una vostra idea, un vostro progetto, per quanto grande ed entusiasmante, ma state rispondendo ad una chiamata, deve far sorgere in voi un duplice sentimento: la gratitudine ed il timore.

     Dovete essere perennemente grati a Dio Padre che vi ha scelto per affidarvi la continuazione della missione che un tempo affidò al Figlio Unigenito: far conoscere all’umanità l’amore incondizionato ed eterno di Dio; un amore che non solo crea, ma anche perdona, redime, salva e glorifica. Come esprimere questa profonda gratitudine? Con la piena obbedienza! Miei cari, non si obbedisce per dovere, ma si obbedisce per grazia. Si obbedisce per dire grazie! Il Padre vi chiama e vi aggrega alla missione redentrice del Figlio; il vostro “si” alla Chiesa, al Vescovo, è la risposta a questa grazia di Dio. Quanto più saprete rinnegare la vostra volontà per fare spazio alla volontà di Dio in voi, tanto più permetterete a Dio di continuare la Sua opera di salvezza. Ricordiamocelo sempre, cari Confratelli: chi salva è Dio, non noi. E anche se lo fa attraverso la nostra missione e la nostra opera, è sempre Lui a realizzare la salvezza.

     A questo proposito, mi piace ricordare ciò che scrive San Giovanni Crisostomo: “E’ opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli” (Om. 15 su Mt). Bisogna essere sempre grati per questo!

     E la gratitudine sarà tanto più vera e cristallina quanto più sarà accompagnata dal timore!

     Siate consapevoli, cari Ordinandi, che attraverso le vostre povere mani passa la grazia di Dio! Per questo le vostre mani siano sempre aperte, siano accoglienti, sappiano accarezzare soprattutto le piaghe di Cristo. Non si ritraggano mai per interesse, per accidia, per indolenza e noia, per vanagloria, per stanchezza. Soprattutto le tue mani, caro don Federico, che saranno consacrate con il crisma, espandano il buon profumo di Cristo, lo pongano soprattutto dove più forte è il cattivo odore del peccato!

     Non consideratevi mai arrivati nel ministero: ogni sera, nel vostro quotidiano esame di coscienza, interrogatevi se nel giorno appena trascorso avete favorito la grazia di Dio che passava attraverso il vostro ministero e se lo avete fatto in punta di piedi, senza arroganza, senza presunzione, senza paura delle sofferenze legate al ministero e senza paura della Croce, ma con la gioia che scaturisce dal timore.

     Scrive ancora San Giovanni Crisostomo: “Se per timore dei maltrattamenti, non mostrerete tutto quell’ardimento che vi si addice, subirete cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno. Questo vuol dire essere calpestati”.

     Come esprimere, allora, il timore per la missione affidatavi? Coltivando la virtù dell’umiltà!

     Nella Introduzione alla vita devota, San Francesco di Sales scrive: “La virtù dell’umiltà è la conoscenza veritiera e l’ammissione della nostra abiezione”, e cioè “la pochezza, la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza che ci pensiamo. L’apice dell’umiltà così intesa consiste non soltanto nel riconoscere la nostra abiezione, ma nell’amarla ed esserne contenti; non per mancanza di coraggio e di generosità, ma per esaltare maggiormente la Maestà divina e dare al prossimo una stima maggiore che a noi stessi” (Parte III, cap. VI). E continua con due esempi: “Un giovanotto o una ragazza che non si lasciano trascinare ai disordini di una brigata dissoluta nel parlare, nel giocare, nel ballare, nel bere, nel vestire come loro, saranno scherniti e criticati e il loro riserbo sarà chiamato bigottismo o esibizionismo. Amare queste conseguenze vuol dire amare la propria abiezione.

     Se ti mandano al [malato] più reietto secondo il mondo, per te sarà un’abiezione; per questo l’amerai” (Parte III, cap. VI).

     Quando la virtù dell’umiltà cresce in noi, con il nostro continuo impegno e la nostra costante attenzione, anche il timore per il grado in cui siamo costituiti cresce e ci aiuta a non sbagliare nella missione a cui siamo chiamati.

     Miei cari, quanto più cresceranno queste virtù e questi sentimenti, tanto più sarete sentinelle gradite a Dio e utili alla Chiesa.

     Ma Dio specifica ancor meglio la missione del profeta Ezechiele e anche la vostra: “Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia” (Ez 33, 7b).

     La gratitudine e il timore per la vostra missione, accresciuti con la virtù dell’umiltà, dovranno portarvi ad ascoltare dalla bocca di Dio la Sua Parola perché sia avvertimento per voi e per chi vi è affidato.

     Miei cari Ordinandi, dovete imparare ad accostare il vostro orecchio alla bocca di Dio, dovete diventare degli adoratori di Dio e della Sua Parola.

     Ci istruisce l’Imitazione di Cristo:Scrivi le mie parole nel tuo cuore, e meditale con diligenza: nel tempo della tentazione ti saranno indispensabili. Quel che non capisci mentre leggi, lo capirai nel giorno della prova” (Lib. 3, 3).

     C’è un grande rischio, nell’esercizio del ministero ordinato: il diventare gli specialisti di ciò che Dio dice agli altri! Stiamo attenti a non cadere in questa trappola: prima che agli altri la Parola che ascoltiamo, meditiamo e adoriamo, è rivolta a noi, alla nostra vita. Questa Parola, prima di tutto, vuole cambiare la nostra vita e, poi, quella degli altri. Dobbiamo essere come quel medico che quando inventa una medicina, prima la prova su di sé e poi la somministra al proprio paziente. Dobbiamo stare attenti a non essere dei registratori della Parola, che la riproducono in modo asettico, senza lasciarsi intaccare. Dobbiamo, invece, essere delle tavolette sulle quali la Parola prima si incide e poi si fa leggere.

     Quando avviene questo processo, l’avvertimento che siamo chiamati a dare a coloro a cui Dio ci invia è molto più eloquente e molto più comprensibile: stimola più facilmente la conversione della vita.

     San Paolo, nella seconda lettura, ci ha detto: “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole” (Rm 13, 8). La Parola che Dio ci comanda di rivolgere ai nostri fratelli, deve essere offerta con la commendatizia dell’amore vicendevole. Non dimenticatelo mai: Dio vi chiede di dire la Sua Parola perché i vostri fratelli scoprano il Suo amore, anche quando la Parola è dura, sia a pronunciarsi che ad ascoltarsi! Sentitevi sempre debitori di questa Parola d’amore.

     Ci esorta sant’Agostino: “Noi […] dobbiamo volere che tutti siano salvi. Bisogna [dunque] che usiamo con tutti un severo biasimo a guisa di medicina, perché non si perdano o mandino in perdizione gli altri” (La correzione e la grazia, 16. 49).

     Nel vangelo Gesù ci esorta a vivere la correzione fraterna. Credo che tutti quanti noi qui presenti siamo disposti a farla! Nel senso che tutti vogliamo correggere gli altri, perché son sempre gli altri che sbagliano e vanno corretti, con amore, ma vanno corretti.

     Accogliamo tutti, anche voi Ordinandi insieme con noi, questa Parola come riflesso sulla nostra vita. Voglio dire che dobbiamo disporci a vivere la correzione fraterna, a farci fraternamente correggere. La gradualità della correzione che Gesù propone, ci deve trovare attenti e disposti ad accoglierla, prima di farla! E allora la comunione dei cuori, questa sinfonia di cuori che sanno accogliere la correzione e si sforzano di farla con amore, renderà possibile l’esaudimento della nostra preghiera.

     E se qualcuno non vuol ascoltare nemmeno la comunità, cosa bisogna fare? “Sia per te come il pagano e il pubblicano”, cioè ancora da evangelizzare, ancora digiuno del vangelo dell’amore. Così l’impegno di ogni cristiano dovrà essere maggiore. Ma soprattutto il vostro, cari Ordinandi. Dovrete seguire la fantasia dello Spirito Santo per aiutare chi non vuol ascoltare la correzione; dovrete essere opportuni e inopportuni, come ci esorta San Paolo nella seconda lettera a Timoteo (4, 2), nel proporre la conoscenza e l’esperienza dell’amore vero di Dio.

     La vostra presenza nei gruppi, soprattutto di giovani, dovrà essere fatta nel nome del Signore, perché tutti percepiscano la Sua presenza: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Il Signore non si rende presente magicamente né emotivamente, ma attraverso la sacramentalità della vostra persona e del vostro ministero. Siate sempre consapevoli di essere consacrati al Signore, cosa sacra a Dio, appartenenti a Lui, sempre! Non scordatelo mai!

     Un’ultima parola voglio rivolgerla a te, don Federico. Gesù ha detto nel vangelo: “In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18, 18).

     Vedi che grande responsabilità il Signore ti affida? Nel sacramento della Riconciliazione, ma non solo, sii sempre strumento di misericordia; sciogli le catene del peccato che bloccano la gioia nella vita degli uomini; sii certamente giudice, ma giudice misericordioso e amorevole, anzi padre amorevole e misericordioso. Sii l’immagine fedele del Buon Pastore.

     Con questi sentimenti ci disponiamo ad invocare lo Spirito Creatore e ad accogliervi nell’Ordine Sacro del Diaconato e del Presbiterato.

     Ringrazio tutti coloro che hanno curato la vostra formazione, i vostri Genitori e le vostre famiglie, i Parroci e i Sacerdoti delle Parrocchie di origine e di ministero, i Superiori del Seminario Regionale, mentre chiedo a coloro a cui siete stati inviati per svolgere il vostro ministero, di aiutarvi con la preghiera e con l’esempio a custodire la vostra vocazione. Veglino su di voi Maria Ss.ma, Madre dei Sacerdoti, San Barsanofio e i Ss. Medici. Amen.

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