Omelia nell'Ordinazione Presbiterale di don Michele De Santis
Oria, 20 ottobre 2018 - Chiesa di San Giovanni Paolo II
Con la celebrazione del vespro siamo entrati nella liturgia della XXIX domenica del tempo ordinario, nella quale la Chiesa celebra la Giornata Missionaria Mondiale. Ed è in corso a Roma la celebrazione del Sinodo dei Vescovi dedicato ai Giovani. In queste felicissime circostanze s’inserisce in modo molto appropriato la celebrazione della tua ordinazione sacerdotale, mio caro don Michele. E perciò non possiamo non tenere conto di queste coincidenze che la Provvidenza ha preparato per noi. Divieni presbitero per continuare la personale missione di Gesù maestro, sacerdote e pastore avendo come primi destinatari del tuo ministero le giovani generazioni che, peraltro, desiderano intensamente Dio ma hanno di Lui una conoscenza scarsa e spesso falsata.
Per queste generazioni dovrai essere l’incarnazione di Gesù maestro che, attraverso di te, continua ad insegnare la via che conduce al Padre, la via beata, la via della salvezza, la via della vita eterna.
Mio caro don Michele, per essere continuatore della missione di Gesù maestro non dovrai mai smettere di essere discepolo, anzi dovrai coltivare in te con estrema cura il tuo discepolato. Il discepolo, lo sai bene, è colui che ascolta e imita, colui che apprende in continuazione e per questo non si considera mai arrivato né superiore agli altri. È discepolo vero colui che apprende con entusiasmo e condivide con gioia ciò che ha appreso. È discepolo vero colui che non millanta come farina del proprio sacco ciò che ha ricevuto per grazia. È discepolo che può rinviare al Maestro colui che accoglie di imparare anche dalle proprie debolezze. Ogni uomo sperimenta nella propria vita delle ferite che gli vengono inferte; a volte se le infligge da solo. Ogni ferita fa male ma, se è affidata al medico saggio, guarisce pur lasciando la cicatrice. Ora, proprio le cicatrici, perché sono ferite oramai guarite, possono diventare un valido e profondo insegnamento perché sono una concretizzazione della speranza, in quanto ci dicono che non c’è niente che possa impedirci di seguire la via di Dio. D’altra parte Gesù, il Maestro, non ha forse mostrato le cicatrici della sua passione e morte per suscitare negli apostoli la fede e indurli ad una sequela senza riserve? È proprio vero, mio caro ordinando, che dovrai essere continuatore della missione di Gesù maestro mostrando non solo le virtù e i doni, le capacità e le competenze acquisite, ma anche le ferite che la grazia di Dio guarisce in te, e che sono i segni della tua partecipazione alla passione del Signore. Accenderai così la speranza nel cuore dei giovani che sentono Dio tanto lontano perché lo guardano dall’abisso delle loro incongruenze giovanili, ma anche con gli occhi delusi dalla mancata o cattiva testimonianza della generazione adulta.
Per essere come Gesù, anzi suo continuatore, dovrai essere maestro mite, umile ed entusiasta. Non permettere mai che il virus della tristezza infetti il tuo ministero, ma sii sempre “lieto nella speranza, costante nella tribolazione, perseverante nella preghiera” (cfr. Rm 12, 12).
Mio caro don Michele, oltre che l’incarnazione di Gesù maestro, dovrai essere anche l’incarnazione di Gesù sacerdote. È necessario chiedersi in che modo Gesù è stato sacerdote: Egli si è offerto liberamente al Padre come vittima pura e santa per noi e al nostro posto, per riconciliarci con Lui.
Il tuo essere continuatore della missione di Gesù sacerdote significa che dovrai ogni giorno unirti strettamente a Cristo sommo sacerdote per la salvezza di tutti gli uomini. Ma come può avvenire quest’unione continua e costante a Cristo? Le tue mani, che tra poco saranno consacrate e profumate di Cristo, avranno ogni giorno a disposizione le offerte del popolo santo di Dio, il pane e il vino, e tu dovrai immedesimarti in quelle offerte e offrire quelle offerte! Questo vuol dire che quanto più ogni giorno ti immedesimerai in ciò che dovrai offrire, tanto più ti spoglierai della tua volontà, dei tuoi progetti, delle tue attese di un ritorno per ciò che fai. Imparerai a conformarti ad uno stile di perdita, nella logica del “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24), ma anche nella logica del “Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada [...]. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso [...]. Un'altra parte cadde tra i rovi [...]. Altre parti caddero sul terreno buono[...]” (cfr. Mc 4, 4-8).
Le tue mani, che sempre profumeranno di crisma, cioè di Cristo, dovranno rendere offerta gradevole e gradita ogni persona che benedirai e che unirai a te per offrirla al Padre.
Come sacerdote dovrai essere il pontefice, cioè il ponte attraverso cui l’umanità potrà camminare verso Dio. Per questo, insieme al Vescovo, dovrai implorare la divina misericordia per il popolo a cui sei mandato e dovrai celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo, secondo la tradizione della Chiesa.
E infine, caro don Michele, sarai continuatore della missione di Cristo pastore. Tuo compito sarà quello di cooperare con il Vescovo ad “edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa, in popolo di Dio e tempio santo dello Spirito”.
L’obbedienza che tra poco porrai nelle mani del Vescovo, non sarà una limitazione all’esercizio del ministero sacerdotale per cui la Chiesa, riconoscendo in te i segni della divina chiamata, ti ha scelto. Al contrario, sarà garanzia del tuo impegno nella giusta direzione. È essenziale, mio caro, ricordarsi sempre che il sacerdote non è un libero professionista che possa esprimere liberamente la propria competenza e la propria fantasia pastorale. Egli è inserito in un organismo vivo e vivificante, che è il Presbiterio, e con il quale, sotto la guida del Vescovo, conduce il popolo santo nelle vie del Vangelo. È impensabile ed ecclesialmente fuorviante credere di poter vivere il proprio sacerdozio indipendentemente dall’obbedienza alle direttive del Vescovo, o peggio ancora, in contrasto con il suo magistero. Sarebbe come un ramo che, avendo inizialmente prodotto bei frutti, decida di staccarsi dal tronco per essere indipendente: firmerebbe la sua improduttività e la sua morte!
Come alimentarsi per poter continuare la personale missione di Gesù maestro, sacerdote e pastore?
Innanzitutto con la preghiera, comunitaria e personale. Non ti accada mai di cadere nella tentazione di pensare che il tempo dedicato alla preghiera è tempo sottratto alla pastorale e alle relazioni fraterne sacerdotali. La tua prima opera pastorale è proprio la preghiera. Dice Papa Francesco: “Essere attratti ed essere inviati sono i due movimenti che il nostro cuore, soprattutto quando è giovane in età, sente come forze interiori dell’amore che promettono futuro e spingono in avanti la nostra esistenza” (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2018). Ma come possiamo sentire l’attrazione e l’invio nella missione se non ci mettiamo in ascolto del Maestro nella preghiera? La preghiera, lo stare in ginocchio di fronte all’Eucarestia ogni giorno, sono la nostra migliore possibilità di respirare aria di Vangelo, di imparare sempre di più ad offrirci al Signore in sacrificio di soave odore, di vincere la tentazione del disfattismo e quella dell’egocentrismo, di costruire comunione, di evangelizzare, di impetrare vocazioni alla vita di consacrazione.
Mi piace ricordare ciò che Papa Benedetto XVI ha detto all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana il 24 maggio 2012: “In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio.
Cari Fratelli, il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo. Gli uomini vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua Grazia. [...] Vorrei dire a ciascuno: lasciamoci trovare e afferrare da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. E’ dalla relazione con Lui che nasce la nostra comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire l’unico Popolo di Dio”.
Un altro strumento necessario per la crescita della vita sacerdotale è l’ascesi. Mio caro don Michele, la cultura moderna ci ha fatto perdere o, quantomeno, dimenticare la necessità di una vita ascetica, che sa accogliere le difficoltà e i sacrifici non come un male ineluttabile ma come un percorso di purificazione, che renda i nostri occhi sempre più capaci di vedere Dio. Non possiamo indicare una strada se noi non vediamo la meta. E l’ascesi ci aiuta a purificare i nostri occhi e ad affinare gli altri nostri sensi per vedere Dio. È facile abbandonarsi ad una vita di godimenti e di ricerca di primi posti, scambiando la nostra soddisfazione con la benedizione di Dio sul nostro operato. Non possiamo dimenticare ciò che ha detto Gesù oggi nel Vangelo: “Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore,e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 43-45). Il farsi servo è proprio nella direzione della via ascetica. Sant’Agostino, commentando la richiesta di Giacomo e Giovanni, dice: “Quei discepoli che volevano sedersi uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra, cercavano anch'essi la gloria; miravano alla meta, ma non vedevano la via; il Signore li richiamò alla via, onde potessero con sicurezza raggiungere la patria. Eccelsa è la patria, umile è la via. La patria è la vita di Cristo, la via è la sua morte; la patria è lassù ove Cristo dimora presso il Padre, la via è la sua passione. Chi ricusa la via, non cerca la patria” (Commento al Vangelo di Giovanni, 28, 5).
La vita ascetica è la via per giungere alla patria; è la via per portare i nostri fratelli e sorelle alla patria.
Un ultimo strumento desidero indicarti, caro don Michele, perché tu possa crescere nella continuazione della missione di Gesù: la vita fraterna.
Nella lettera pastorale sulla Domenica, al n. 49, indico alla nostra Chiesa dov’è l’origine della vita fraterna: “L’essere uniti a Cristo, inevitabilmente, produce come frutto la comunione con i fratelli. Si comprende bene quanto questo percorso sia bellissimo: con un unico cammino mi unisco a Cristo e, in Lui, ai fratelli, diventando tutti insieme una cosa sola! Ma c’è il retro della medaglia, che appare terribile, perché ogni divisione comporta non solo lo staccarsi dagli altri, ma anche l’allontanarsi da Cristo. Quando chiudi il cuore al fratello, quando non ti accorgi dei bisogni altrui, ti allontani da Cristo” (Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Rallegriamoci ed esultiamo in esso).
Sii costruttore di vita fraterna, di comunione, con i fratelli sacerdoti e con i fratelli e sorelle laici.
“È la Parola di Dio che oggi, nelle nostre case e nelle nostre Chiese, ci chiede di essere uno. Ed è significativo vedere come la prima comunità cristiana più cresce e più rimane unita. L’unità non è un “optional” nella Chiesa, bensì è costitutiva della sua stessa natura (cfr. Christifideles laici, n. 8) e quando recitiamo il nostro simbolo della fede, il Credo, la prima caratteristica della Chiesa che professiamo è: Credo la Chiesa UNA” (Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Rallegriamoci ed esultiamo in esso).
Ecco, mio carissimo don Michele, sei stato chiamato a questa meravigliosa vita sacerdotale! Non voltarti indietro, non essere come la moglie di Lot, che guardò indietro e divenne una statua di sale (Gen 19, 26).
Il tuo “Eccomi”, che hai pronunciato questa sera, sia il tuo ritornello quotidiano, il tuo atto di fede di ogni giorno, sapendo che la Madonna della Fiducia ti aiuterà a pronunciarlo sempre e con gioia.
Desiderio di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di te: in particolare i tuoi Genitori, i tuoi benefattori, i tuoi Parroci e i Sacerdoti che ti hanno guidato, l’equipe educativa del Seminario Romano Maggiore (è presente colui che è stato il tuo Rettore, Mons. Concetto Occhipinti, che ringrazio di vero cuore).
Veglino su di te la beata Vergine Maria, Madre della Fiducia, San Giuseppe, San Michele, Santa Teresa del Bambin Gesù e San Francesco Saverio, patroni delle Missioni, San Barsanofio, i Ss. Medici, San Giovanni Paolo II e il beato Bartolo Longo. Amen.
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